La Mole Antonelliana di Torino dove si è svolta la riunione |
di Delia Fratucelli
Il rischio che si corre
quando si è un numero ristretto di compagni, attivi in pochi posti
di lavoro, è quello scambiare la propria realtà soggettiva per
quella generale; diversamente non si può partire che da quello che
si è, sia per svolgere un’analisi sia per fare un programma
d’iniziative.
Noi siamo un piccolo
gruppo di lavoratori comunisti torinesi, presenti in alcune realtà
aziendali piccole e grandi. Questi anni di crisi economica,
organizzativa e sindacale hanno radicalmente segnato tutte le nostre
realtà, ma in modi profondamente diversi. Siamo un fotogramma di un
mondo del lavoro del nordovest in crisi. Abbiamo fatto la scommessa
di formare la RETE28APRILE-OPPOSIZIONE IN CGIL, perché pensiamo
che l’esperienza dell’Area LA CGIL CHE VOGLIAMO, si sia esaurita,
anche a livello torinese, dove almeno aveva provato a decollare.
Da questo mese dobbiamo
provare a fare un salto qualitativo, anche semplice nelle sue norme
come scegliere di vederci e discutere con regolarità, conferirsi
degli incarichi e degli obiettivi.
Possiamo e dobbiamo essere
più presenti, con del nostro materiale sul sito nazionale della
R28A, ovunque ci sia un contratto, un accordo, una vertenza che ci
riguarda, anche non direttamente, dobbiamo informarne il sito, perché
metta la notizia in onda.
Dobbiamo imparare a fare
sindacato senza delegare e senza aspettare che “esperti”,
prendano per noi le decisioni e le iniziative, possiamo anche
sbagliare, e sbaglieremo senz’altro, preparandoci a pagare il conto
degli errori, ma non esiste un gruppo sindacale che voglia diventare
“dirigente”, ma io preferirei dire “determinante”, che non si
sperimenti con cantonate varie e assortite, e poi gli errori possono
essere contenuti, se ci impegneremo in un confronto costante. Uno
dei limiti, non il più rilevante, della maggioranza dei quadri della
CGIL, (soprattutto quelli under 50) è la loro scarsa qualità,
dovuta sia a un fattore storico - in questi decenni non ci sono state
lotte sociali tali da essere formative -, sia alle modalità di
cooptazione e formazione; per una volta l’essere stati esclusi
dall’attività istruttiva e conformante della CGIL, è un grande
vantaggio, controbilanciato dal discapito di non avere neanche un
compagno in apparato.
Cosa possiamo fare a
Torino, che serva per creare, anche in forme limitate, aggregazione e
coscienza di classe, che permetta di farci conoscere ed anche
sperimentarci con le contraddizioni e smottamenti che la crisi
porterà in casa CGIL?
Da una parte dobbiamo
continuare, forse con maggiore precisione e incisività, a fare la
nostra battaglia nelle nostre categorie, ma non è sufficiente e
sarebbe anche molto logorante e frustante.
Dobbiamo trovare
attraverso una discussione collettiva, un tema che giudichiamo
imprescindibile per la lotta di classe dei prossimi anni, e su quello
lavorare collettivamente. Me ne vengono in mente diversi, alcuni più
tradizionali, altri probabilmente più audaci, provo a citarne un
paio come esempio: il tema dello sfruttamento, chiamato dai padroni,
e dal ciarpame intellettuale e sindacale “produttività”,
possiamo mettere questo tema al centro del nostro agire, modulandolo
attraverso seminari, iniziative generali e di categoria; un tema
temerario è quello delle fabbriche e dei posti di lavoro
“recuperati”, argomento difficile, ma prima di scartarlo
dovremmo, seriamente ragionarci e valutarlo.
Indipendentemente dai temi
e iniziative che giudicheremo imprescindibili per la nostra attività,
abbiamo bisogno di decidere alcune modalità di discussione,
decisione e verifica che ci impegnino tutti collettivamente. Queste
scelte devono partire da oggi, possono poi sempre essere integrate o
modificate nelle riunioni future. Ma adesso è ora di partecipare,
scegliere, lottare, e che ci sia di buon auspicio, la giornata di
lotta domani in valle, sarà dura anche per noi.
22 marzo 2013.
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