di Giorgio Cremaschi
La politica dovrebbe essere lo strumento con il quale si sceglie tra diverse opzioni.
La politica democratica dovrebbe far sì che le scelte compiute siano consapevolmente condivise dalla maggioranza dei cittadini.
La commissione di saggi nominata dal Presidente della Repubblica potrà anche essere definita, scomodando Fantozzi, una boiata pazzesca.
Sarà anche così, ma questa scelta è maturata nel corso di una crisi ove le scelte di fondo, quelle di cui la politica dovrebbe davvero occuparsi, non sono in campo.
Tonia Mastrobuoni su La Stampa ha riassunto una ricerca sul rapporto tra austerità e salute apparsa su Lancet.
Questa storica, autorevolissima rivista medica spiega che le politiche di austerità in Spagna, Grecia e Portogallo hanno gravemente peggiorato la salute complessiva dei cittadini. Con un costo umano e sociale che non compensa neanche lontanamente quanto sì è risparmiato e tagliato nella spesa pubblica. Le politiche di risanamento dei conti sono state finanziate con il peggioramento della salute dei cittadini.
A questo punto normalmente insorge il conformismo del pensiero unico che unifica i palazzi del potere e quelli della grande informazione.
Sarà anche vero che ci sono questi costi, sentiamo ripetere come un mantra, ma non ci sono alternative.
Invece le alternative ci sono, eccome. Lancet ci ricorda che nella piccola Islanda le scelte della politica di fronte alla crisi sono state molto diverse da quelle di Spagna, Grecia e Portogallo.
In quel paese si è deciso, democraticamente, di considerare insopprimibile la tutela sociale e sanitaria e di scaricarne i costi su banche e finanza. La crisi economica non è superata nemmeno lì, ma la salute dei cittadini non ha subìto il collasso dei paesi ove invece le politiche di austerità hanno trionfato.
Ecco, una politica sana dovrebbe istruire alternative come questa e sottoporle ai cittadini. Ogni scelta ha un costo, si tratta di sapere e decidere cosa è più importante e chi deve pagare.
Invece da noi il marasma e il conflitto totale della politica coprono la sostanziale indifferenza nelle scelte di fondo.
Anche la novità rappresentata dal movimento 5 Stelle rischia di essere rapidamente assorbita dentro questo conformismo.
Come si fa ad accettare tranquillamente la proroga del governo Monti nel nome dei vincoli internazionali del paese, quando proprio quei vincoli dovrebbero essere al centro del confronto politico?
Il presidente della Banca Centrale Europea ha recentemente tranquillizzato i mercati affermando che in Italia funziona un pilota automatico che guida le decisioni economiche che contano, ma allora che finzione è la nostra democrazia?
Tagliando della metà tutte le spese di funzionamento della Camera dei deputati, e non voglio neanche mettermi a discutere su quanto questo sia giusto, si incide sui conti pubblici per un centesimo di quanto ci costerà un anno di fiscal compact. Che a sua volta inciderà solo per la metà dell’onere complessivo del debito.
Visto l’obbligo costituzionale del pareggio di bilancio è inevitabile che si litighi su cosa tagliare, mi si risponderà. Già, ma la politica non dovrebbe proprio dividersi sul pareggio di bilancio, invece che considerarlo una inevitabile sottomissione alla natura delle cose e del mercato?
È proprio il campo sempre più ristretto delle sue competenze che rende la politica italiana così impresentabile.
Questi poveri saggi della nomenclatura presenteranno una proposta unitaria su come ridurre le spese delle auto blu, oppure istruiranno le alternative sul debito, da sottoporre ad una consultazione popolare così come è stato fatto in Islanda?
Sono le grandi alternative, quelle che oggi per il palazzo sono solo un retaggio ideologico del passato, sono le grandi scelte quelle che rendono nobile la politica.
Il litigio continuo sulle piccole cose ed il conformismo comune nelle questioni di fondo sono invece le caratteristiche di una politica malata che, come ci dice Lancet, nuoce gravemente alla salute dei cittadini.
Giorgio Cremaschi
(2 aprile 2013)
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