mercoledì 20 novembre 2013

IL SINDACATO È UN'ALTRA COSA


Bozza non corretta documento congressuale
IL SINDACATO È UN'ALTRA COSA
RivendicAZIONI per una Cgil indipendente, democratica, che lotta



Quattro anni fa il congresso della Cgil si concludeva con l'affermazione delle posizioni della maggioranza che oggi guida l'organizzazione. Da allora si sono susseguiti arretramenti e sconfitte, non uno degli obiettivi del congresso è stato realizzato e la Cgil è sempre più coinvolta nella rabbia e nel rifiuto che accompagnano i palazzi della politica.
Nella più grave crisi dal dopoguerra a oggi, mentre tutte le conquiste e i diritti sociali sono in discussione, per scelte e pratiche sbagliate la Cgil ha smarrito quella diversità che nel passato ha fatto sì che proprio nei momenti più duri essa fosse il riferimento di chi lavora, perde il lavoro, lotta per il lavoro. Oggi la Cgil, con Cisl Uil Confindustria e persino con l' Associazione delle Banche, fa parte delle cosiddette "parti sociali", cioè coloro che nel teatrino della politica dovrebbero rappresentare tutti assieme gli interessi dell'economia e della società rispetto ai partiti e al governo. 
Tutto ciò serve soltanto a affermare che operai e padroni, bancari e banchieri, dipendenti e manager, sono tutti nella stessa barca e guai a mettere in discussione competitività, produttività, profitti e ricchezza. Se ci si mobilita, come sul fisco, lo si fa per chiedere un pochino per i lavoratori e molto più per i padroni, che nel linguaggio delle “parti sociali” si chiamano "imprese".
Tutto il mondo del lavoro è diventato precario, cambiano soltanto i livelli della precarietà in cui si è coinvolti e la maggioranza delle lavoratrici e dei lavoratori, delle pensionate e dei pensionati stanno sprofondando nella povertà. Dilagano condizioni di sfruttamento e oppressione fino a poco tempo fa impensabili, per i migranti ma sempre di più anche per i nativi. Sei milioni di persone sono disoccupate, la più alta cifra dal dopoguerra. Lo stato sociale e i diritti delle persone sono messi in vendita, tutto viene devastato. Le donne pagano il prezzo più alto, sulla fatica e sulla salute, sui ritmi e sui tempi di lavoro, sul salario e sulle pensioni, nella loro stessa vita.
La chiusura della aziende, le privatizzazioni, i licenziamenti, i tagli sociali, il peggioramento di tutte le condizioni di lavoro e di vita non sono stati davvero contrastati. Non si è mai andati oltre a scioperi gestiti senza continuità, convinzione e combattività, con il risultato di diffondere rassegnazione. Rassegnazione che spesso è stata utilizzata per giustificare la passività dei gruppi dirigenti.
Uno sciopero di sole 3 ore è stato proclamato contro la legge Fornero sulle pensioni, che instaura in Italia il sistema previdenziale più brutale e ingiusto d'Europa. E allora i lavoratori erano pronti a lottare.
Si è consentito di far approvare al parlamento la cancellazione di fatto dell'art.18 e il peggioramento degli ammortizzatori sociali, proprio nel pieno di una crisi economica che taglia milioni di posti di lavoro.
Fino a arrivare all'accordo interconfederale del 31 maggio 2013 - figlio dell'accordo del 28 giugno 2011 che accoglieva le "deroghe" ai contratti nazionali - in cui si è accettato il principio inaccettabile secondo cui hanno diritto alla rappresentanza e alla stessa esistenza soltanto quei sindacati che firmano gli accordi e che accettano preventivamente di non lottare contro gli accordi ingiusti.
I padroni hanno festeggiato sui loro giornali quando è stata firmata quell'intesa, perché hanno considerato un loro successo aver ottenuto la cosiddetta "esigibilità", cioè l'obbligo alla rigida osservanza degli accordi.
Perché i padroni festeggiano quando nel passato erano i lavoratori a lamentare che le aziende non rispettavano mai i contratti? La ragione è semplice: i padroni sono disposti a firmare soltanto accordi peggiorativi e per questo vogliono sindacati obbedienti che facciano obbedire i lavoratori.
Questo sta già accadendo: tutti i contratti nazionali e molti accordi aziendali, in questi ultimi anni, hanno peggiorato gli accordi e le condizioni precedenti. Quando hanno conservato qualche diritto per chi era già al lavoro, hanno cancellato quello stesso diritto per chi veniva assunto. Così si è creato un doppio regime contrattuale: i nuovi assunti, sottopagati e senza diritti, e i vecchi assunti che i diritti li perdono, un contratto dopo l'altro.
Tutto questo non è avvenuto soltanto negli accordi separati che le organizzazioni della Cgil non hanno firmato, metalmeccanici, scuola e commercio, ma anche in quelli firmati da tutti, dai ferrovieri ai chimici ai telefonici ai bancari e a tanti altri. I lavoratori pubblici hanno i contratti bloccati da anni e per altri anni a venire, mentre il salario viene tagliato e poi redistribuito a pochi, tra discriminazioni e clientele: cosa hanno fatto e fanno Cgil Cisl Uil contro questo?
I pensionati hanno progressivamente perso fino al 33% del proprio reddito e potere d'acquisto, mentre pagavano tutti i costi della distruzione dello stato sociale. Intanto continua lo scandalo delle pensioni d'oro.
Ma i sindacati dei pensionati, che pure sono la maggioranza di Cgil Cisl Uil, hanno fatto ben poco.
Tutto questo era inevitabile? No.
Il no della Fiom alla Fiat aveva suscitato grandi speranze e voglia di lottare nel mondo del lavoro e tra tanta gente stanca dell'arroganza delle caste politiche e finanziarie. Era un no a tutti i soprusi e le ingiustizie, ma anche un no alla complicità sindacale con essi.
Il gruppo dirigente della Cgil non ha voluto partire da quel no per costruire un grande movimento di lotta, mentre ha sostenuto che quello della Fiat era un caso isolato e che in gran parte del mondo del lavoro le cose andavano diversamente. Il risultato è che il modello Marchionne è dilagato. La maggioranza della Cgil non ha voluto cambiare niente e alla fine anche il gruppo dirigente della Fiom si è adeguato.
In questo quadro, ci sono militanti e dirigenti prima critici che oggi si adattano e si rassegnano. Noi non siamo d'accordo.
Per questo presentiamo un documento alternativo alle scelte, alle pratiche, al gruppo dirigente della Cgil, perché se vogliamo che le cose cambino dobbiamo cominciare dalla nostra organizzazione. Come diceva Giuseppe Di Vittorio, se il 99% dei nostri problemi vengono dagli avversari e l'1% dai nostri errori, noi prima di tutto dobbiamo affrontare i nostri errori.
Ci vuole una Cgil con un'altra piattaforma, con nuove pratiche fondate sulla democrazia, sull'indipendenza da tutti i palazzi, sulla partecipazione e sulla lotta.
Prima di tutto ci vuole una Cgil che faccia rivendicazioni chiare, che rispondano ai bisogni delle persone in carne e ossa, ci vuole una Cgil che ricominci a chiedere, invece che sperare nel meno peggio. Ottenere dei risultati è difficile, ma se non si rivendica mai niente è sicuramente impossibile!
È dannoso inseguire l'unità con i vertici di Cisl e Uil, perché da anni i gruppi dirigenti di queste organizzazioni firmano qualsiasi accordo con le controparti private o pubbliche e accettano qualsiasi prepotenza, come in Fiat.
Bisogna che la Cgil rompa con la complicità e dunque con i gruppi dirigenti di Cisl e Uil, per costruire una vera unità sindacale delle lavoratrici e dei lavoratori fondata sulla democrazia e sull'indipendenza.
Innanzitutto la Cgil deve mettere tutte le sue forze a disposizione di chi non si arrende, dei lavoratori che bloccano e occupano le aziende per respingere chiusure, delocalizzazioni e licenziamenti, dei precari, nativi e migranti, che rifiutano lo sfruttamento, degli esodati, dei disoccupati che esigono lavoro, di chi lotta per la scuola e la sanità pubbliche, per la casa, per l'ambiente.
La Cgil deve ricostruire la contrattazione nazionale e aziendale, partendo dai bisogni dei lavoratori, senza sottostare alle cosiddette regole e ai vincoli imposti dagli accordi confederali, da quello del 23 luglio 1993 a quello del 31 maggio 2013. Questi accordi sono soltanto una gabbia che da 20 anni si fa sempre più stretta e che schiaccia il salario, le condizioni di lavoro, la libertà.
La Cgil deve dare fiducia a chi vuole lottare e costruire unità con tutto il sindacalismo conflittuale e con i movimenti sociali, delle popolazioni, dei giovani, dalla Valle Susa alla Campania alla Sicilia.
Da molti anni ci spiegano che la lotta di classe è finita, che il conflitto sociale è sbagliato. Poi ogni giorno ricchi e potenti praticano la lotta di classe per diventare ancora più ricchi e potenti ai nostri danni. Mentre le loro caste politiche e i loro propagandisti alimentano la guerra tra i poveri. Vengono contrapposte le generazioni invece che le classi sociali. Il nemico dei giovani precari dovrebbe essere il padre metalmeccanico o il nonno ferroviere pensionato, che sono accusati di essere privilegiati. I nemici dei lavoratori privati dovrebbero essere i lavoratori pubblici, e tutti costoro assieme dovrebbero considerare nemici i migranti, accusati di venire a portare via il lavoro. Il Nord dovrebbe essere nemico del Sud e il Sud del Nord, perché i soldi non ci sarebbero più e quindi i poveri dovrebbero strapparseli tra di loro. Queste sono le falsità che ci rifilano tutti i giorni da giornali e tv, per farci accettare i loro affari.
Gli interessi sul debito pubblico ci costano 90 miliardi all'anno, che vanno in gran parte a banche e speculazione finanziaria. L'evasione fiscale ci costa 120 miliardi all'anno. Le tangenti della corruzione politica ci costano 60 miliardi all'anno. Le mafie e la criminalità organizzata costano più di 100 miliardi all'anno. Nei passati 20 anni oltre il 10% del reddito nazionale è passato dai salari alle rendite e ai profitti, sono oltre 150 miliardi all'anno che ci hanno portato via i ricchi e i padroni.
In un anno i 2000 italiani più ricchi hanno visto crescere del 7% la loro ricchezza, mentre la grande maggioranza della popolazione vedeva sprofondare il proprio reddito.
Una volta l'amministratore delegato della Fiat guadagnava 30 volte un operaio, oggi Marchionne guadagna da solo come più di 1000 operai, come una fabbrica intera. E non è certo il solo. Gli 860.000 pensionati più ricchi incassano quasi quanto i 7 milioni di pensionati più poveri.
Oggi metà di tutta la ricchezza del paese appartiene a solo il 10% della popolazione. Questa ristretta minoranza controlla l'economia e la politica, la cultura e l'informazione e con i suoi governi, i suoi "tecnici", i suoi giornali e televisioni ci fa credere che i nostri sacrifici servono al nostro bene, mentre servono soltanto ai suoi guadagni.
I soldi ci sono, ma per trovarli bisogna dire basta all'ingiustizia sociale e lottare per l'eguaglianza.
Bisogna aumentare salari e pensioni e legarli al costo della vita per non diventare sempre più poveri.
Bisogna eliminare gli scandalosi guadagni dei grandi manager. Ci vuole un salario minimo orario di legge sotto il quale nessuno possa andare, perché oggi ci sono lavoratori con paghe di pochi euro all'ora. Ci vuole un reddito per tutte e tutti i disoccupati.
Bisogna portare la pensione di vecchiaia almeno a 60 anni (a 55 quella delle donne) e quella di anzianità a 40 di contributi, mentre l'orario di lavoro settimanale va ridotto a parità di salario. Bisogna lavorare meno per lavorare tutti.
Bisogna cancellare tutta la legislazione che ha consentito e incentivato il dilagare della precarietà. Ci vuole una legge che garantisca alle lavoratrici e ai lavoratori la democrazia sindacale.
Ci vuole un piano per il lavoro e lo stato sociale che sia fondato su grandi investimenti pubblici, perché il mercato non crea lavoro e distrugge diritti e ambiente. Ci vogliono grandi investimenti per la scuola, la sanità, la casa, il trasporto locale, il risanamento del territorio e dell'ambiente, il patrimonio culturale, per il Mezzogiorno. Ci vogliono tantissime piccole opere che possano creare tanti posti di lavoro mentre bisogna dire basta allo spreco delle grandi opere come la Tav in Valle Susa o il Ponte di Messina, basta alle spese militari come gli F35 e ai tanti sprechi degli appalti e della corruzione nella pubblica amministrazione.
Le grandi aziende strategiche, come Fiat, Ilva, Telecom, Alitalia, i grandi ospedali privati come il San Raffaele, che rischiano tagli o chiusura, devono essere espropriati senza indennizzo e gestiti dal potere pubblico, con partecipazione e controllo dei lavoratori e delle popolazioni.
Bisogna non pagare più il debito pubblico alle banche e alla finanza e perciò bisogna nazionalizzare tutte le grandi banche, prima di tutto la Banca d'Italia.
Bisogna rompere con l'Europa delle banche, della finanza, dei tecnocrati e delle multinazionali, bisogna stracciare subito il fiscal compact e tutti i trattati europei che ci impongono l'austerità.
Le classi dirigenti italiane, il potere economico e la casta politica che ne garantisce gli interessi hanno usato l'Europa e l'euro per legittimare se stessi, coprire i propri fallimenti, giustificare e imporre i sacrifici. "Lo vuole l'Europa" è diventato così un ricatto come quello del padrone in Fiat. Intanto la corruzione politica è continuata come e più di sempre, anzi è stata usata per giustificare il ricorso al mercato.
I governi dell'austerità e i partiti di centrodestra e centrosinistra hanno cambiato la Costituzione votando l'obbligo del pareggio di bilancio, secondo i voleri della Troika e delle banche tedesche. Sempre gli stessi hanno approvato il fiscal compact e i trattati che ci impegnano a 20 anni di politiche di austerità e che sottopongono il nostro paese al commissariamento dei burocrati di Bruxelles. Ora vorrebbero dare un altro colpo alla democrazia con il presidenzialismo, con nuove contro-riforme politiche che dovrebbero rendere istituzionalmente obbligatori l'austerità, i sacrifici, le privatizzazioni.
La gigantesca corruzione politica e la criminalità mafiosa sono un elemento costituente della crisi del paese e producono costi e ingiustizie insopportabili. La Cgil deve sostenere e fare proprie la lotta alla criminalità e alla corruzione non soltanto come indispensabile azione istituzionale, ma come movimento per il cambiamento sociale. Per questo la Cgil si mobilita assieme a tutti i movimenti civili e di lotta per la democrazia. La Cgil deve rompere ogni accostamento tra i diritti sindacali e i privilegi della casta politica e burocratica, battendosi per una vera moralizzazione della vita politica e pubblica, partendo dalla cancellazione dei privilegi, degli alti stipendi e dei finanziamenti ai partiti, dalla lotta contro la commistione tra politica e affari. Per queste ragioni la Cgil si batte anche per la moralizzazione e trasparenza assoluta della vita sindacale, perché il sindacato sia finanziato soltanto dalle tessere volontarie degli iscritti e agisca sempre con trasparenza e democrazia.
L'attacco che ci colpisce agisce su tutti i piani - dal lavoro, all'ambiente, ai diritti, alla democrazia - per fermarlo abbiamo bisogno di un sindacato che prima di tutto rompa con i palazzi del potere.
Abbiamo bisogno di un sindacato che faccia sul serio, un sindacato profondamente democratico e indipendente dai padroni, dai governi e dai partiti. La Cgil è stato questo sindacato, ora non lo è più, deve tornare ad esserlo.
Questo documento raccoglie e fa proprio l'appello "Riprendiamoci la Cgil”, sottoscritto da centinaia di delegate e delegati dei luoghi di lavoro, appartenenti a diverse esperienze, storie, aree critiche, che hanno chiesto un documento alternativo nel congresso. Condividiamo con loro, con tutte le lavoratrici e i lavoratori, la necessità di avere un sindacato diverso da quello di oggi.




Le rivendicAZIONI per una Cgil indipendente, democratica, che lotta.

1) CONTRO L'EUROPA DELL'AUSTERITÀ E DEL FISCAL COMPACT


Per difendere il proprio potere e i propri guadagni, le caste politiche e manageriali e i grandi poteri economici hanno scelto di sottomettere la politica economica e sociale italiana agli ordini della Troika, cioè di quel comando privo di qualsiasi legittimazione democratica formato da Commissione Europea, Banca Centrale Europea, Fondo Monetario Internazionale. La prima condizione per fermare la distruzione del lavoro, dei redditi, dello stato sociale e della democrazia è respingere gli ordini della Troika e i vincoli dei patti europei. Questo è interesse di tutto il mondo del lavoro e di tutti i popoli europei, che devono liberarsi dalla dittatura di finanza e banchieri.
Per questo la Cgil è impegnata a organizzare la mobilitazione più vasta affinché l'Italia ritiri unilateralmente l'adesione al fiscal compact e a tutti i trattati europei che impongono le politiche di austerità. La Cgil, in ogni caso, rivendica il diritto dei cittadini italiani a decidere con un referendum. La Cgil lotta per il ripudio del pareggio di bilancio come obbligo costituzionale, rivendica la nazionalizzazione senza indennizzo di tutte le principali banche, a partire dalla Banca d'Italia.
Il debito pubblico non può strangolare l'economia, per questo va annullato tranne che verso i piccoli risparmiatori. Banche e grande finanza dovranno accettare il taglio del debito, mentre lo stato dovrà riconquistare il controllo sulla moneta per intervenire direttamente sull'economia invece che ricorrere ai prestiti usurai della finanza mondiale.
La Cgil giudica negativamente la politica di passività e complicità sin qui seguita dalla Confederazione Sindacale Europea, che deve essere profondamente trasformata e democratizzata diventando un vero sindacato dei lavoratori europei. La Cgil deve chiedere, come primo atto di rottura verso le politiche dell’austerità e verso le istituzioni europee che le impongono, uno sciopero generale di tutta Europa.
Decine di milioni di lavoratori e cittadini europei stanno entrando nella disoccupazione permanente, nella precarietà, nella povertà. I salari e i diritti sociali sono ovunque sotto attacco, anche nei paesi più forti come la Germania, dove dilagano lavori pagati con pochissimi euro all'ora. Per questo bisogna arrivare a stabilire dei minimi salariali e dei diritti garantiti in tutta Europa al fine di impedire il ricatto del trasferimento delle attività. Gli accordi e le leggi devono però basarsi sulle condizioni medio-alte e non unificare i diritti a livello più basso.
In tutta Europa bisogna costruire un movimento di lotta che unisca i popoli contro quell'austerità che ha distrutto la Grecia e ora dilaga in tutto il continente. Per cui, oltre alla rottura dei trattati, in Italia come in Europa, la Cgil rivendica:

 Statuto dei diritti dei lavoratori e lavoratrici in Europa che preveda la parità di trattamento, la libertà di associazione, il diritto al lavoro, alla sanità pubblica, all’istruzione, alla contrattazione collettiva, a una pensione pubblica dignitosa;

 L'abolizione di tutte le direttive che, come la Bolkenstein, nel nome del libero mercato dei lavoratori europei, distruggono i contratti nazionali;

 Lotta alla disoccupazione con la cancellazione della legge europea che autorizza fino a 65 ore settimanali di lavoro. Bisogna arrivare in Europa a 32 ore settimanali a parità di salario;

 Vertenze europee sul salario, sull’orario, sulla lotta alla precarizzazione (uguale diritti per uguale lavoro);

 Norme contro le delocalizzazioni e i licenziamenti, divieto alle multinazionali di imporre aste al ribasso su salari e diritti sociali tra i vari stabilimenti con il ricatto della chiusura;

 Eliminazione dei paradisi fiscali europei dove le grandi aziende e i ricchi mettono le proprie sedi per non pagare le tasse;

 Accordo internazionale sul sequestro dei beni degli evasori;

 Forte tassazione sulle rendite finanziarie e sui movimenti di capitali.


2) LOTTA ALLA DISOCCUPAZIONE, ALLA PRECARIETÀ, AL DECLINO DEL SUD


Basta con le lacrime di coccodrillo di governo e padronato che fanno finta di disperarsi per i 6 milioni di disoccupati e gli altri milioni di lavoratrici e lavoratori precari. Questo risultato è voluto perché tutte le leggi e tutte le decisioni di politica economica approvate in questi anni hanno contribuito a realizzarlo.
Disoccupazione di massa e precarietà servono ai padroni, perché nell'attuale crisi ricattano con la paura le persone e le costringono ad accettare condizioni di sfruttamento vergognose.
In particolare le donne, che pressoché ovunque guadagnano meno degli uomini, hanno più spesso contratti di lavoro precari e sono inquadrate nei livelli più bassi e che hanno subìto più di tutti in questi anni l'impatto della crisi: all'inizio sono state le prime a essere colpite dalla cassa integrazione e dai processi di ristrutturazione, oggi sono quelle che fanno più fatica a trovare un nuovo impiego quando lo hanno perso, con il rischio di allontanare tante donne dal mercato del lavoro.
Ci vogliono misure di emergenza e interventi di più lunga portata che abbiano come risultato immediato l'aumento dell'occupazione. Ci vuole un piano del lavoro fondato sull'intervento pubblico e sulla lotta allo sfruttamento e alla precarietà. Lavorare meno, lavorare tutte e tutti.
È necessario un vasto intervento pubblico nell'economia per creare lavoro perché affidarsi soltanto al mercato produce ancora più disoccupazione. Questo impone la necessità vitale della lotta alla corruzione politica e alla criminalità mafiosa. La corruzione fa un doppio danno perché ruba i nostri soldi e perché viene usata come scusa per negare o distruggere l'intervento pubblico a favore della speculazione privata.
In particolare, il Mezzogiorno vive una condizione di ulteriore impoverimento, contrassegnata dalla desertificazione produttiva e da un vertiginoso aumento della disoccupazione, da una pesante contrazione del reddito e dal crollo dei consumi. Ciò fa sì che molti dei dati economici e sociali delle regioni meridionali
siano attualmente peggiori di quelli della Grecia.
Sono clamorosamente falliti i contratti d'area, sostenuti anche dalla Cgil, dove si scambiavano salari al di sotto dei contratti e flessibilità selvaggia in cambio di posti di lavoro. I salari si sono abbassati, ma i posti di lavoro son spariti lo stesso. Si è rafforzato il potere delle mafie. Spesso le uniche risorse finanziarie disponibili sono quelle provenienti dalle attività criminali, i cui proventi servono per acquisire il controllo di intere attività economiche. La borghesia mafiosa, con gli straordinari profitti accumulati, condiziona fortemente le dinamiche sociali e istituzionali e si occupa, in misura crescente, di gestire direttamente interi settori dell’economia meridionale: dall’industria all'edilizia, dall’agricoltura al commercio, dalla sanità al collocamento. Ora la borghesia mafiosa dilaga al Nord.
Le politiche di questi anni hanno anche aggravato le differenze all'interno del paese nella scuola, nella sanità, nel diritto all’abitare, nell’assistenza, nei trasporti, allontanando sempre di più il Mezzogiorno dal resto dell'Italia. Al Sud non servono grandi opere, non servono cattedrali nel deserto, non servono il Muos in Sicilia né il mega rigassificatore di Gioia Tauro. Al Sud serve di essere davvero parte di un piano per il lavoro nazionale che risponda ai bisogni delle persone e le sottragga ai ricatti della politica e delle mafie.
Bisogna respingere la tesi secondo cui il Nord deve abbandonare il Mezzogiorno, perché nulla e nessuno si salva se non rovesciamo le politiche di austerità.
Per una vera lotta alla disoccupazione e alla precarietà, contro la criminalità e per una nuova politica economica per il Mezzogiorno, rivendichiamo:

 Blocco immediato dei licenziamenti, misure contro le delocalizzazioni e i trasferimenti di azienda, appalti, subappalti e esternalizzazioni vanno tutti ricondotti alla piena responsabilità dell'azienda committente, pubblica o privata;

 Basta con le chiusure, il governo deve garantire il sostegno ai lavoratori che vogliono rilevare l'azienda, le grandi imprese che vogliono chiudere devono essere nazionalizzate senza indennizzo e poste sotto controllo dei lavoratori;

 Abolizione delle leggi sulla precarietà dal pacchetto Treu in poi. Cancellazione dei contratti precari e assunzione a tempo indeterminato di tutti i precari nella stessa azienda e amministrazione pubblica o privata. Si lavora soltanto con il contratto a tempo indeterminato e eccezionalmente con quello a tempo determinato. Ripristino e estensione dell'articolo 18;

 Abrogazione della legge Fornero sugli ammortizzatori sociali, la copertura della cassa integrazione deve essere estesa a tutti e obbligatoriamente a rotazione. Il massimale della cassa integrazione va eliminato, affinché l'integrazione salariale copra l'80% effettivo della retribuzione;

 Reddito garantito a tutti i disoccupati e a coloro che perdono il lavoro fino a nuova occupazione;

 Ritorno alla struttura pubblica di collocamento, con la chiamata numerica, estesa alle professioni impiegatizie non specializzate e abolizione delle agenzie interinali;

 Riduzione generalizzata dell'orario di lavoro a parità di salario inizialmente finanziata dallo Stato per tutte le aziende che assumono, con l'obiettivo di giungere a 32 ore settimanali. Nell'immediato, divieto di superare le 40 ore settimanali con la flessibilità e durante la cassa integrazione, e forte penalizzazione delle aziende sul lavoro straordinario, che deve essere sempre eccezionale e volontario. Detassazione di tutto il salario e non di quello legato a straordinari e produttività;

 Abrogazione della legge Fornero sulle pensioni per creare nuovi posti di lavoro;

 Piano per il lavoro che si fondi sulla riconversione industriale delle produzioni nocive e belliche, sulla crescita del Mezzogiorno, su nuove domande e bisogni, sulla ricerca e l'innovazione, sulla scuola e sulla formazione, sull'estensione dello stato sociale e dei diritti sociali, sul risanamento e sulla valorizzazione del patrimonio culturale e ambientale, sui beni comuni. Tutto questo può produrre milioni di nuovi posti di lavoro con tante piccole opere e con un vasto programma di investimenti pubblici. Queste misure devono essere in parte finanziate da una tassa straordinaria sul patrimonio del 10% più ricco della popolazione. Questa è la sola strada per uscire stabilmente dalla disoccupazione di massa;

 Sequestro dei beni dei mafiosi e dei corrotti e loro gestione da parte di un'agenzia pubblica per creare subito lavoro.


3) PENSIONE PUBBLICA E GIUSTA PER TUTTE E TUTTI


Il sistema pensionistico pubblico conquistato grazie alle lotte operaie del dopoguerra ha rappresentato un pilastro del nostro modello sociale. Un sistema universalistico, basato sul rapporto solidale tra generazioni che è stato uno straordinario traguardo civile e sociale. L'attacco alla previdenza pubblica è partito ai primi anni 90, proprio all'inizio delle politiche di bilancio per l'ingresso nell'Europa di Maastricht, con le manomissioni del governo Amato sino a giungere alla cancellazione di fatto delle pensioni di anzianità della Legge Fornero. Un'operazione supportata da continue campagne sulla presunta insostenibilità del sistema a causa della crescita dell'aspettativa di vita, contrapponendo prima i lavoratori più vecchi a quelli più giovani, poi i giovani ai vecchi per tagliarle infine a tutti, in particolare alle donne con un drastico aumento dell'età per la pensioni di vecchiaia. Questo è accaduto nonostante i conti del fondo pensioni Inps fossero in ordine, senza che fosse mai stata separata la previdenza dall'assistenza e nonostante la spesa sociale del nostro Paese fosse, ed è ancora, tra le più basse d'Europa. La realtà è che con la demolizione del sistema pensionistico pubblico i governi hanno aperto la strada alle speculazioni e agli affari della previdenza privata, hanno usato le pensioni per fare cassa e tagliare il costo del lavoro a favore dei padroni. Negli ultimi 20 anni ogni governo, sia di centrodestra che di centrosinistra che di larghe intese, ha attaccato le pensioni alzando sempre più l'asticella per andarci e riducendo sempre più il rendimento della stessa.
Cosi facendo hanno aumentato gli orari di lavoro, hanno aumentato la disoccupazione e hanno gettati nella disperazione centinaia di migliaia di lavoratrici e lavoratori, i cosiddetti esodati, senza pensione né lavoro.
Mentre i privilegi delle cosiddette pensioni d'oro non sono mai stati toccati.
I giovani neoassunti con questo sistema dovranno lavorare sino a 70 anni, versare oltre 43 anni di contributi e non avranno una pensione sufficiente a vivere una vecchiaia autonoma .
Gravi sono le responsabilità sindacali perché tutti gli sconvolgimenti del sistema pensionistico pubblico sono stati o concordati o accettati di fatto da Cgil Cisl Uil. Si sono istituiti i fondi pensionistici integrativi che in realtà danno ben poco ai lavoratori e si è accettata la filosofia liberista secondo cui la pensione pubblica è per forza una miseria e quindi bisogna integrarla con quella integrativa. Lo stesso si comincia a fare ora sulla sanità. Intanto ai lavoratori è stata tolta la piena disponibilità sui loro soldi del Tfr.
Ma se sono sempre stati colpiti coloro che dovevano andare in pensione, coloro che in pensione già c'erano dopo una vita di duro lavoro hanno pagato il prezzo sempre più alto di vedere le loro pensioni perdere sempre più valore. Oggi un numero enorme di pensionati "incapienti" e al minimo, hanno redditi da fame, mentre anche l'operaio o l'impiegato medio vede la sua pensione sprofondare verso il basso perché non viene più rivalutata e neppure adeguata al costo della vita. Ancora una volta le donne pagano molto più degli uomini. Bisogna smetterla di inseguire i piccoli aggiustamenti che spesso fanno più danni di quelli che riparano e darsi l'obiettivo della completa ricostruzione del sistema pensionistico pubblico, per garantire a tutte e tutti il diritto a una pensione dignitosa dopo un ragionevole e non infinito tempo di lavoro.

Per questo chiediamo di:

 Cancellare tutte le controriforme che a partire dalla Dini hanno colpito prima i giovani e poi tutti gli altri, creando per ogni persona una particolare ingiustizia. Ci vuole di nuovo il sistema retributivo per tutte e tutti e le stesse regole per tutto il mondo del lavoro. Con la sola giusta possibilità per chi fa lavori più faticosi di pensionarsi prima;

 Separare il sistema previdenziale dall’assistenza, che deve essere pagata dalla fiscalità generale in base alla ricchezza posseduta. Il sistema previdenziale deve essere pubblico e deve garantire una pensione pari all'80% della retribuzione con 40 anni di lavoro. Si deve andare in pensione o con questi anni di contribuzione o con la pensione di vecchiaia a 60 anni (55 per le donne). Le pensioni d'oro e quelle privilegiate, cioè buone pensioni con pochi anni di lavoro, devono contribuire per prime. Tutti i ricongiungimenti di lavoro svolto sotto diverse contribuzioni e che poi finiscono all'Inps devono essere gratuiti;

 Prevedere per i pensionati un importo minimo di pensione superiore alla soglia di povertà. Per le pensioni fino a 3.500 euro va ripristinato il recupero integrale del costo della vita su base annua. Per tutte le pensioni minime e in ogni caso per chi ha redditi troppo bassi per usufruire di esenzioni fiscali, va prevista la restituzione integrale delle spese sanitarie, di assistenza e di adeguamento abitativo;

 Ripristinare il collegamento tra pensione e collegamento alle retribuzioni reali, fermo restando che le retribuzioni devono crescere;

 Portare la previdenza integrativa a una funzione aggiuntiva e volontaria. I fondi contrattuali devono confluire in unico fondo Inps senza fini speculativi, con l'obiettivo della integrazione al 100% della retribuzione percepita durante la vita lavorativa. I fondi privati e le assicurazioni non devono avere alcuna agevolazione contrattuale o fiscale. In ogni caso il lavoratore deve avere piena disponibilità sul Tfr;

 Sottrarre il sistema pensionistico pubblico al controllo assoluto delle burocrazia e dei governi. Va stabilito il controllo democratico su di esso da parte di lavoratori e pensionati, non con le nomine sindacali decise dall'alto ma con la elezione di rappresentanze da rinnovare ogni 5 anni;

 Introdurre il sostegno pubblico garantito a non autosufficienti e poveri;

 Introdurre un modello unico rilasciato dagli uffici finanziari in rete con Inps, Comune e Asl, deve essere inviato a domicilio ad ogni inizio anno con l’attestazione del reddito del pensionato (CUD, RED ecc.) valido per esenzioni sanitarie ed ogni altra agevolazione sociale prevista per i limiti di reddito attestati dal documento.


4) NUOVA SCALA MOBILE SALARI E CONTRATTAZIONE

Oggi, grazie alla crisi e alle regole e limiti imposti dagli accordi del 28 giugno 2011 e del 31 maggio 2013 la contrattazione non risponde più ai bisogni dei lavoratori e delle lavoratrici. Le deroghe in peggio al contratto nazionale e alla legge rendono possibile ovunque il ricatto dei padroni sui salari e sulle condizioni di lavoro, pena licenziamenti, delocalizzazioni, chiusure. La Cgil ha giustamente chiesto di abolire, sebbene continui a applicarlo, il famigerato art.8 della legge Sacconi, che permette le deroghe ai contratti e persino alla legge con accordi aziendali. Tuttavia, l'accordo unitario del 28 giugno 2011 e quello del 31 maggio 2013 riassorbono quello separato del 2009, che consente di fare le stesse cose.
Il risultato è che i contratti nazionali rinnovati negli ultimi anni non difendono le retribuzioni dall'inflazione, aumentano orari e flessibilità, riducono le tutele, allargano la precarietà, cancellano diritti ai neoassunti. La contrattazione aziendale, in gran parte delle imprese, deroga al contratto nazionale peggiorando

ulteriormente la condizione di chi lavora. Esempio negativo è l'accordo per la Expo di Milano, dove unitariamente sono state concordate deroghe peggiorative alla Legge Fornero sull'apprendistato e addirittura è stato normato il lavoro gratuito. Da questo accordo, esaltato da governo e Confindustria, la Cgil deve ritirare la firma, così come deve rimettere in discussione tutti gli accordi che hanno derogato ai contratti, come quello di Trenord.

È necessario ricostruire una contrattazione libera da vincoli e regole che impediscono l'aumento dei salari e il miglioramento della condizione di lavoro. Una contrattazione fondata sulla democrazia e sulla partecipazione dei lavoratori a tutta l'iniziativa contrattuale, dalla discussione e votazione delle piattaforme, sino alla scelta delle delegazioni trattanti e delle forme di lotta, per arrivare alla votazione referendaria sulle ipotesi di accordo. Per questo vanno disdettate le intese del 28 giugno 2011 e del 31 maggio 2013.
Bisogna ridare al contratto nazionale la funzione di aumento del salario reale e del miglioramento delle condizioni di lavoro. Per fare questo bisogna partire da piattaforme discusse e condivise dai lavoratori, con chiare rivendicazioni su salario, orario, diritti. Bisogna essere indisponibili a firmare peggioramenti pur di chiudere la vertenza e, se i padroni usano la crisi per dire no, bisogna costruire lotte in grado di durare nel tempo e dotarsi di strumenti come le casse di resistenza, finanziate con una parte della quota tessera degli iscritti.
Bisogna inoltre riunificare le lavoratrici e i lavoratori a partire dalla riduzione del numero di contratti nazionali riunificandoli però al livello più alto.
Alla base del sistema contrattuale ci devono essere condizioni di salario, orario, flessibilità, diritti e tutele che siano rese obbligatorie dalla legge, in modo che nessun ricatto, nessuna crisi, nessun accordo possano metterli in discussione.
Per queste ragioni la Cgil rivendica e pratica la ricostruzione di un sistema generale di eguaglianza, tutela e di contrattazione del mondo del lavoro:

 Una nuova scala mobile per difendere i salari dall'inflazione, un automatismo di legge che consenta annualmente di adeguare gli stipendi all'aumento del costo della vita;

 Il contratto nazionale che aumenti i salari e ricostruisca condizioni comuni e inderogabili per tutte le lavoratrici e tutti i lavoratori, dalle grandi alle piccole imprese, dal Sud al Nord del paese;

 La contrattazione aziendale che interviene a migliorare la condizione di lavoro nelle imprese; va abrogato l'art.8 della legge Sacconi, in ogni caso le organizzazioni della Cgil non possono firmare accordi in deroga;

 Un salario minimo intercategoriale, sul modello francese, che arrivi a 10 euro lordi all'ora con un meccanismo automatico di adeguamento ai prezzi. Un minimo sotto il quale non può andare nessun salario, in nessuna categoria;

 Diritto a un orario congruo di lavoro, no ai mini-lavori di poche ore e tanto sfruttamento;

 Una nuova legislazione sul lavoro che garantisca a tutte le lavoratrici e i lavoratori di aziende in appalto e subappalto pari condizioni retributive rispetto a quelle riconosciute nell'impresa committente;

 Una legge contro l'eccessiva disparità sociale come hanno chiesto in Svizzera, che stabilisca che nessun manager può essere pagato più di 12 volte rispetto ai suoi dipendenti.

La tutela delle lavoratrici e dei lavoratori non si esaurisce nel luogo di lavoro: i servizi sociali, il diritto alla casa e alla salute, la lotta contro la tassazione comunale e regionale sono parte integrante della difesa del salario. Il territorio è sempre più il luogo in cui si scaricano gli effetti pesanti delle politiche di austerità del governo attraverso gli enti locali.
È necessario che la Cgil organizzi sul territorio i bisogni dei lavoratori, dei precari, dei pensionati, delle classi popolari in genere attraverso la pratica della contrattazione sociale, non come inutile atto burocratico nei confronti delle amministrazioni locali in fase di bilancio, ma come una nuova pratica rivendicativa costruita in rapporto democratico con quartieri e comunità. Dalla lotta contro gli sfratti, a quella contro la chiusura degli ospedali, dal diritto alla sicurezza e alla qualità delle scuole al contrasto della criminalità, alle grandi opere, per la riqualificazione e il risanamento dell'ambiente e del territorio.
Questi non devono essere soltanto gli obbiettivi generali della Cgil, ma la linea politica e contrattuale che tutta l'organizzazione deve sostenere e promuovere a ogni livello, impegnandosi alla massima coerenza con la pratica quotidiana concreta.


5) CONTRO IL DEGRADO DELLA CONDIZIONE DI LAVORO


Sotto i colpi della crisi chi non lavora vive nella disperazione, chi lavora nell'oppressione. Il ricatto della disoccupazione e della precarietà oggi ha diffuso ovunque lo sfruttamento più brutale e lesivo della libertà.
Tutto il mondo del lavoro è diventato precario, cambiano soltanto i gradi di precarietà e sfruttamento.
Dilagano i contratti dove si lavora senza neanche essere riconosciuti come lavoratori, dagli stagisti, ai soci delle cooperative, a coloro che sono pagati con i voucher, al lavoro a chiamata, al lavoro part time involontario e per poche ore settimanali, al lavoro interinale, alle finte partite Iva e alle finte collaborazioni.
Si diffonde un modello di sfruttamento dove si è a disposizione delle aziende per una infinità di tempo, ma si viene pagati pochissimo e soltanto per percentuali irrisorie del tempo effettivamente impegnato. Per i lavori qualificati si diffonde addirittura il lavoro gratis, con la scusa della formazione e dell'apprendimento.
Nel lavoro più tradizionale, in quello industriale e dei grandi servizi, spariscono le libertà conquistate con fatica sia sul piano collettivo che su quello individuale. Si deve lavorare quando si è comandati, non ci sono più festività e riposi sicuri, si devono aumentare i ritmi di lavoro fino a danneggiare la salute, ma guai a ammalarsi. E guai a avere familiari da assistere, persone da accudire, figli. Per questo le donne maledicono ogni istante la flessibilità, la produttività, la cottimizzazione del lavoro.
Nel lavoro pubblico è la grande burocrazia che, per difendere il suo potere e i suoi privilegi, impone ai dipendenti obbedienza e ordine, impone di fare in due il lavoro di tre, mentre si copia il peggior modello di organizzazione delle aziende private. Così i grandi burocrati pubblici possono essere pagati come quelli privati, nel nome di un mercato che in realtà vale soltanto per i dipendenti e non per i potenti.
In questo contesto si inserisce la questione dell’obbligo al lavoro domenicale e festivo nel commercio, imposto da un contratto siglato soltanto da Cisl e Uil ma nei fatti accettato anche dalla Cgil, come dimostra la presentazione dell'ultima piattaforma contrattuale che non ne chiede la modifica.
Il problema del lavoro festivo e domenicale non riguarda però un solo un settore. L'insieme di tutto il mondo del lavoro deve porsi l’obiettivo di riappropriarsi del controllo della prestazione lavorativa.
Per cambiare questa situazione occorre riunificare il lavoro pubblico e privato, quello industriale e il cosiddetto terziario. In particolare, nel terziario un primo e efficace strumento dovrà essere la generalizzazione della contrattazione di sito che dovrà mettere al primo punto in ogni unità produttiva il diritto delle lavoratrici e dei lavoratori alla stessa retribuzione a parità di lavoro e la lotta contro gli appalti al massimo ribasso, che sono lo strumento per vincere le gare attraverso la riduzione dei diritti e delle tutele del lavoro. Il secondo obiettivo è introdurre una clausola sociale che garantisca nei cambi appalto il passaggio dei lavoratori e la loro retribuzione.
La Cgil deve lanciare una grande campagna contro lo sfruttamento del lavoro e l'autoritarismo padronale e aziendale. Questa campagna dovrà coinvolgere le forze della cultura e della informazione e portare, dopo incontri e assemblee in tutta Italia a una conferenza nazionale sullo sfruttamento e sulla perdita di libertà delle lavoratrici e dei lavoratori. Da questa conferenza dovranno uscire proposte di legge e vertenze diffuse che immediatamente intervengano sulla condizione di lavoro.


6) NO ALLA SVENDITA DELLA SALUTE E DELL'AMBIENTE

Con la crisi riprende forza il ricatto per cui pur di lavorare bisogna accettare di vendere la salute delle persone e devastare l'ambiente. Gli stessi governi hanno colpevolmente accettato questo ricatto, cambiando in peggio la legge 81 sulla sicurezza del lavoro e trasformando molte delle iniziative previste dalla 626 in carrozzoni burocratici a volte gestiti con la complicità sindacale. Intanto si continua a morire e a ferirsi e a ammalarsi gravemente di lavoro. Il costo per il paese della mancata difesa della salute sul lavoro e di più di 50 miliardi all'anno. Quello per le devastazioni ambientali è anche superiore.
Bisogna assumere come principio di fondo della Cgil che nessun compromesso è possibile su questo piano, la salute e l'ambiente vengono prima di tutto. Altre vie opportuniste, come hanno mostrato tante drammatiche esperienze, colpiscono subito la salute personale e ambientale, ma poi nel tempo distruggono anche il lavoro.
Alla base di tutto questo sta la ricerca smodata e criminale del profitto. Come ha motivato la prima sentenza di condanna dei dirigenti della Thyssen Krupp per la strage di Torino, quando si costringono i lavoratori a stare 10 ore in ambienti insicuri e che devono chiudere per strappare l'ultimo guadagno, la strage non è colposa, ma omicidio volontario e chi ne è responsabile è un criminale. Poi le stragi di lavoro si estendono al territorio, come a Viareggio dove 32 cittadini sono morti bruciati vivi per un incidente ferroviario figlio della privatizzazione e della ricerca del profitto e della produttività a tutti i costi. E all'Ilva di Taranto la strage per tumore dura da anni per colpa di una proprietà che ha sempre rifiutato di investire davvero a favore della salute dei dipendenti come dei cittadini. La Cgil si batte perché tutti i responsabili aziendali e i padroni, i politici e le autorità complici siano condannati con il massimo della durezza dai tribunali.
La lotta per la salute e l'ambiente e contro il cambiamento climatico, la difesa dei beni comuni, degli ecosistemi e delle biodiversità sono fondamentali perché l'intreccio tra crisi ecologica e crisi economica può minacciare lo stesso futuro della vita sul pianeta.
È necessario riconvertire settori produttivi con gravi impatti ambientali e sociali (le industrie militari, tutte le aziende inquinanti), utilizzando tecnologie "pulite" e creando nuovi posti di lavoro in settori sociali e ecologicamente giusti come l’agricoltura ecologica e i servizi pubblici (sanitari, educativi e trasporti ecc.).
La lotta per la salute passa attraverso la riconversione industriale e energetica, che deve essere condotta con un piano pubblico che garantisca che i lavoratori non finiscano in mezzo a una strada e che il risanamento ambientale e del territorio sia anche un'occasione di lavoro tutelato e sicuro. Per questo la Cgil partecipa alla lotta contro le grandi opere, gigantesco spreco di risorse e fonte di corruzione, con drammatici danni ambientali e anche occupazionali, visto che i posti di lavoro che si distruggono nel territorio sono di più di quelli che vengono importati per realizzare l'opera. La lotta contro le grandi opere è parte integrante di un piano per il lavoro fondato su trasparenza, riconversione produttiva e buona occupazione. Per questo la Cgil sta con il movimento No Tav e con tutti gli altri movimenti di difesa del territorio.
La ribellione della terra dei fuochi in Campania mostra che gli affari criminali contro la salute avvengono tra le aziende del Nord che hanno i rifiuti e la camorra che glieli sistema nelle terre che controlla. Ancora una volta si conferma che in Italia la lotta per cambiare trova sempre di fronte a sé poteri che affondano i loro interessi nella collusione con le mafie.
La questione dei rifiuti si affronta e si risolve soltanto nell'unione tra ambiente e lavoro e non con quella tra politica e affari. La raccolta differenziata e il riciclo sono la sola vera alternativa al trasferimento dell'inquinamento negli inceneritori e nelle discariche. Ma per essere vera essa richiede forti investimenti e tanti posti di lavoro in più. Quindi è incompatibile con la politica dei tagli dei bilanci degli enti locali attuata sotto gli ordini della austerità europea. Anche qui si dimostra che si possono difendere ambiente e civiltà assieme al lavoro soltanto se si mettono in discussione le politiche di austerità dei governi e le complicità malavitose tra politica e affari. Altrimenti è la guerra dei poveri.

Per la difesa di salute e ambiente la Cgil rivendica immediatamente i seguenti punti:

 Abolizione dei contratti precari che sono la prima causa di infortunio, tutela e informazione particolare per i nuovi assunti e per i migranti;

 Generalizzazione della elezione dei rappresentanti dei lavoratori per la salute, RLS, in tutti i luoghi di lavoro con una tutela speciale di legge verso intimidazioni e pressioni;

 Formazione e organizzazione continua nel territorio;

 Obbligo di 2 ore aggiuntive di assemblea retribuita dei lavoratori all'anno sulla salute in ogni luogo di lavoro;

 Abolizione dei carrozzoni bilaterali tra imprese e sindacati per la gestione della salute. I fondi devono andare a sostegno diretto dell'attività degli RLS;

 Istituzione di una Procura nazionale per la salute del lavoro con gli stessi poteri e funzioni della procura nazionale antimafia;

 Obbligo per i tribunali di accettare sempre il sindacato parte civile nei processi sulla salute, alla Umbria Olii è stata rifiutata e il tribunale ha condannato i morti, la Cgil impegna statutariamente tutte le proprie strutture alla costituzione come parte civile;

 Piani di risanamento ambientale territoriale discussi e concordati con le popolazioni interessate e finanziati con i fondi dei sequestri dei beni della criminalità;

 Riconversione industriale e risanamento ambientale con la nazionalizzazione delle grandi aziende inquinanti senza indennizzo per la proprietà che deve pagare tutti danni e i lavoratori. Si comincia dall'Ilva;

 Piano energetico nazionale per passare dalla energia di carbone e petrolio a quella rinnovabile di vento e sole e ripubblicizzazione delle aziende per l'energia.

La Cgil è in ogni caso impegnata a ricostruire il potere dei lavoratori sulla propria salute, il diritto a decidere senza ricatti e paure con piena informazione sulle nocività. Nulla sostituisce l'azione diretta e la validazione consensuale dei lavoratori sulle condizioni di lavoro. Per questo nelle lotte aziendali la salute deve tornare al primo posto.


7) FERMIAMO LO SMANTELLAMENTO DELLA SANITÀ, DEI SERVIZI SOCIALI E L'ATTACCO PERMANENTE AL LAVORO PUBBLICO

Il quadro programmato e delineato dagli ultimi governi ha fatto sì che, negli ultimi 2 anni nell’Amministrazione pubblica, la cosiddetta spending review abbia prodotto una riduzione del 10% degli organici, con una tendenza a aumentare progressivamente. A essa va aggiunto il blocco del turn-over, la non stabilizzazione di migliaia di contratti precari e l’esternalizzazione dei servizi.
Le lavoratrici e i lavoratori del settore pubblico hanno subìto il blocco del contratto nazionale. Il risultato concreto è che il potere d’acquisto del loro salario è sceso e scenderà nel prossimo triennio fino a raggiungere circa il 15% in meno.
Questo ha effetti negativi sulle condizioni di lavoro e sul sistema stesso dei servizi, con ricadute pesanti soprattutto sulle donne: sulle tantissime lavoratrici direttamente coinvolte in questi settori largamente femminilizzati e perché la riduzione della quantità e della qualità dei servizi pubblici, con un modello in cui si demanda al mercato e alle famiglie il lavoro di cura, rischiano di costringere tantissime donne a rinunciare al lavoro.
Lo smantellamento più evidente dello stato sociale è quello di uno dei suoi pilastri fondamentali, la sanità.
La sanità pubblica ha visto una riduzione dei posti letto negli ospedali, che, complici le Regioni, attualmente è di 3.7 posti-letto per 1000 abitanti. Mentre diminuiscono i posti letto nella sanità pubblica, aumentano quelli della sanità privata, che in regioni come Lombardia e Lazio, grazie al sistema degli accreditamenti, arriva al 45%. Tale riduzione ha come contraltare l’aumento di essi nelle varie strutture della sanità privata.
Stiamo assistendo a un vero e proprio collasso dello stesso sistema sanitario, con i livelli di diritto alla salute sempre più a rischio: chiusura di piccoli e grandi ospedali, cancellazione di interi reparti ospedalieri e spesso riduzione degli stessi, riduzione o cancellazione di servizi territoriali e aumento della spesa in solvenza.
Gli stessi cittadini, quando non possono farne a meno, preferiscono rivolgersi a strutture private anziché dover attendere mesi e mesi per visite specialistiche o esami diagnostici. Tutto questo comporta una riduzione ulteriore dei salari in quanto è ormai diffusa la compartecipazione alle spese come per esempio ticket, superticket ecc.
Anche la larga maggioranza dei servizi sociali ha subìto un processo di esternalizzazione attraverso l’utilizzo delle cooperative sociali. Questo processo sta investendo anche il settore educativo, tantissimi sono i comuni che decidono di esternalizzare gli asili nido e le scuole materne. Con il passare degli anni, il terzo settore e il no profit, da strumento complementare dei servizi sociali pubblici, anche a causa dei continui tagli operati sugli enti locali, sono diventati sostitutivi del servizio pubblico. Sono stati trasferiti così interi servizi alle cooperative del terzo settore, assistenza domiciliare agli anziani, ai disabili, ai minori soltanto per citare alcuni importanti servizi di cura delle persone più deboli. Questi servizi hanno subìto un abbassamento del livello qualitativo, dovuto soprattutto al forte processo di precarizzazione del lavoro attraverso contratti atipici, spesso anche al nero, ma anche a una indebita “invasione di campo” del volontariato che ha contribuito a dequalificare alcuni ruoli e professioni tipiche degli addetti in questi servizi, come educatori, assistenti sociali, psicologi.
Complessivamente, la spesa sociale e la spesa sanitaria in Italia è circa il 9% rispetto al Pil, di cui circa 1/3 al privato, ben al di sotto della media europea (Francia 11,1%, Germania 10,7%).
Per queste ragioni:

 Vanno cancellati tutti i provvedimenti di revisione della spesa che applicano il regime di fiscal compact e in rispetto alla parità di bilancio;

 Va rilanciata e potenziata la sanità pubblica;

 Va seguito l'esempio delle lotte che abbiamo visto in molti paesi europei, in Grecia, in Spagna, in Portogallo dove i lavoratori dei servizi pubblici hanno subìto attacchi anche prima del nostro paese.
È l'esperienza delle occupazioni e di alcune autogestioni di ospedali in Grecia;

 In tema di prevenzione, che è per sua natura promozione e tutela della salute, bisogna definire, in tutte le piattaforme rivendicative, come punto prioritario, l'applicazione integrale dell'art.7 dello Statuto dei Lavoratori per ampliare lo spettro delle malattie professionali, l'eliminazione obbligatoria dei rischi, l'identificazione e la conseguente salvaguardia di tutele nei posti di lavoro quali il mobbing, turni di lavoro gravosi, carichi e ritmi di lavoro logoranti;

 Bisogna battersi per un processo di internalizzazione dei servizi sociali e bloccare il processo di esternalizzazione nei servizi educativi.



8) PER LA SCUOLA PUBBLICA, LA FORMAZIONE ED IL DIRITTO ALLO STUDIO


Governi e imprese da tempo esaltano il merito, la ricerca, la formazione, ma al tempo stesso esaltano la scuola come impresa di mercato e tagliano i fondi alla istruzione pubblica e al diritto allo studio. Nello stesso tempo si finanzia la scuola privata.
La ministra della istruzione del governo delle larghe intese ha proposto di tagliare di un anno la scuola superiore e di legare ancora più la scuola alle aziende, accreditando l'imbroglio secondo cui la disoccupazione giovanile ci sarebbe per colpa della scuola. E non invece perché si tagliano i posti di lavoro e non si investe in ricerca e innovazione.
La riconquista di una società giusta passa per la riconquista per tutte e tutti del diritto allo studio e alla formazione nella scuola e nell'università pubblica.
Questo significa rivendicare:

 Un ingente piano di investimenti nella scuola pubblica finanziato con i tagli alle spese militari, con la soppressione dei finanziamenti alle scuole private, con i tagli a consulenze e sprechi nella pubblica amministrazione, con la fiscalità generale;

 La stabilizzazione di tutti gli insegnanti e di tutto il personale precario e la fine dei meccanismi del precariato scolastico, dopo un periodo di lavoro a termine si deve essere assunti in pianta stabile. Un vero aumento delle retribuzioni;

 Diritto alla scuola gratuita fino alla maturità superiore per tutti i redditi bassi e medi. Questo è il modo concreto realizzare l obbligo scolastico fino a 18 anni, che deve essere affermato come conquista di civiltà. Gli studenti universitari in regola con il programma di studi devono ricevere un reddito;

 Abbandono del modello della scuola azienda e ricostruzione della scuola democratica con gli studenti, gli insegnanti e i cittadini;

 Un ingente piano di investimenti nella scuola pubblica che restituisca gli 8 miliardi tagliati da Gelmini e Tremonti, finanziato con i tagli alle spese militari, con la soppressione dei finanziamenti alle scuole private, con i tagli a consulenze e sprechi nella pubblica amministrazione, con la fiscalità generale;

 Ripristino degli scatti di anzianità per i lavoratori e le lavoratrici della scuola; la Cgil si schiera contro ogni ipotesi di divisione degli insegnanti basata su un merito arbitrario (quiz Invalsi) e di aumento dell'orario di lavoro;

 Un piano di ricerca pubblica che ottenga la fine della emigrazione intellettuale. Ci vogliono programmi legati alla innovazione e alla valorizzazione dei beni comuni, fine del precariato e retribuzioni largamente superiori a quelle attuali.

La Cgil decide di rompere con i governi e le amministrazioni locali che tagliano la scuola e con il sistema di potere baronale e burocratico che domina tante aree della scuola e della formazione, e si unisce a tutti i movimenti di studenti e operatori della formazione che lottano per il rilancio del sistema pubblico.


9) BASTA COL FISCO DEI RICCHI E DEI GRANDI EVASORI

Da tempo la Cgil afferma, giustamente, che il problema in Italia non è il livello della tassazione, ma la sua iniqua distribuzione che colpisce lavoratori e lavoratrici, pensionati e pensionate.
Tuttavia ciò non si è tradotto praticamente in nulla nella politica e nella richieste concrete del gruppo dirigente della nostra organizzazione, che ha espresso proposte insignificanti (piccole detrazioni per lavoratori e pensionati, modesti aumenti della tassazione delle rendite finanziarie), a volte facendo addirittura proprie le richieste padronali in nome di una assurda “unità dei produttori”. Per questo:

 È necessario ottenere una drastica riduzione delle aliquote su lavoratori dipendenti e pensionati, in particolare detassando totalmente oggi 1500 € lordi mensili da indicizzare al tasso dell’inflazione reale. Sul versante opposto vanno drasticamente aumentate le aliquote per gli scaglioni oltre i 150.000 euro annui. Vanno ridotte le imposte indirette e le accise sulla benzina, che colpiscono i redditi più bassi;

 Gli aumenti dei salari dei contratti nazionali vanno detassati, mentre bisogna abolire la detassazione dei premi di produttività, che discrimina tra i lavoratori e incentiva la flessibilità dei salari;

 È necessaria una patrimoniale ordinaria progressiva per tutti i grandi patrimoni, escludendo dal conto la casa di abitazione se non è di lusso;

 Di fronte all'arricchimento di grandi padroni, banchieri e top manager, è necessario rivendicare una patrimoniale straordinaria recuperando risorse da quel 10% più ricco della società che detiene quasi 5.000 miliardi;

 Bisogna combattere l'elusione fiscale e contributiva;

 La lotta all’evasione fiscale deve avvenire sul piano internazionale, colpendo la fuga di capitali all'estero, le società di comodo insediate nei paradisi fiscali e gli stessi paradisi fiscali. Su questo bisogna rompere con tutte le complicità europee e internazionali. Bisogna abolire il segreto bancario. Ricchi e multinazionali devono pagare. Per quanto riguarda l'evasione diffusa la sola strada è il coinvolgimento dei redditi fissi allargando le possibilità di deduzioni fiscali da salari e pensioni delle spese di vita, come fanno le aziende. Questo renderebbe conveniente la richiesta di fatture fiscali ovunque. In ogni caso la lotta all'evasione non deve essere persecutoria come oggi tante volte avviene anche nei confronti di chi ha bassi redditi. E in ogni caso deve avvenire soltanto con strutture pubbliche e senza guadagni o profitti privati. Bisogna rivedere totalmente ruolo e funzioni di Equitalia;

 Tutti i beni e i capitali recuperati dalla lotta alla evasione e da quelli alla criminalità mafiosa vanno assegnati e gestiti da enti pubblici sotto controllo democratico dei cittadini.

10) DIRITTO ALLA CASA

Con la crisi la casa diventa sempre più un bene di investimento per la speculazione finanziaria o da tassare per lo stato e sempre meno il luogo dove si ha il diritto di abitare. Il diritto all'abitazione va riconquistato e la Cgil si schiera con chi, nativo o migrante, lotta per la casa, con chi occupa. Non si può accettare che la perdita del lavoro o la disoccupazione vogliano dire perdere il diritto ad abitare con dignità. Pertanto:

 Va impedita la perdita della casa per chi non può più pagare il mutuo. La casa deve restare a chi la abita se è la sua sola proprietà;

 Blocco degli sfratti e dell'aumento degli affitti in tutta Italia;

 Requisizione delle case sfitte per darle a chi non ha posto dove abitare;

 Piano pubblico di edilizia popolare non con colate di cemento ma con il restauro di edifici fatiscenti.


11) NO ALLE PRIVATIZZAZIONI E ALLA SVENDITA DEI BENI COMUNI


Le politiche di austerità svendono i beni comuni alla speculazione finanziaria perché lì ci sono grandi aspettative di profitto per le grandi multinazionali e la finanza e le banche.
Il referendum sull'acqua pubblica ha dimostrato che la maggioranza della popolazione è contraria alla privatizzazione dei beni comuni. Ma i governi ignorano questo pronunciamento popolare.
Anche il Trasporto Pubblico Locale (TPL) compreso, come l'acqua pubblica, nelle materie oggetto del referendum del giugno 2011, subisce privatizzazioni e cessioni di rami di azienda da Nord a Sud, nelle grandi città (per esempio Torino, Genova e Firenze) come nei paesi. I governi delle larghe intese hanno operato una netta e progressiva flessione dei finanziamenti, tanto che molte regioni non possono programmare né assicurare il trasporto pubblico per i prossimi anni, mentre il TPL è un settore che non può in alcun modo sopravvivere senza finanziamenti pubblici. Il metodo è ormai consolidato: gli Enti Locali soci e affidanti i servizi pubblici possono rivedere al ribasso i contratti di servizio e scaricare i costi sulle aziende partecipate ed ex municipalizzate le quali, a loro volta, si rifanno sui lavoratori e rinegoziano al ribasso o disdicono i contratti aziendali.
La Cgil scende in lotta sia a livello nazionale, sia in ogni territorio, per difendere, ampliare e ricostruire il controllo pubblico sui beni di tutti. Per questo:

 Va respinta la privatizzazione dei trasporti pubblici, che oggi è intrecciata con la politica delle grandi opere e dell'Alta Velocità. Bisogna potenziare il trasporto pubblico locale ferroviario e quello cittadino. Bisogna rivalutare la condizione dei ferrovieri e degli autisti e dei lavoratori dei trasporti che sono sottoposti a stress e sfruttamento crescente con paghe sempre più basse;

 Le reti dell'energia e delle informazioni devono essere in mano pubblica e va varato un piano di investimenti nazionale su energia e telecomunicazioni;

 Le aziende municipalizzate devono tutte tornare a essere pubbliche, cancellando la scelta di trasformarle in società per azioni e la quotazione nella speculazione in Borsa. Questo non soltanto per l'acqua ma per le farmacie, gli asili e i servizi scolastici, la energia e i trasporti.

Lo sviluppo e l'estensione del sistema pubblico in tutti i beni comuni richiede un nuovo livello di democrazia e controllo sia per i lavoratori che per i cittadini.


12) PER I DIRITTI DEI MIGRANTI

I diritti dei migranti sono nostri diritti perché quando una parte del mondo del lavoro è sotto ricatto, quando ogni giorno con il licenziamento si rischia di diventare clandestini e di essere espulsi dall'Italia, vuol dire che si usano i migranti per estendere il ricatto a tutto il mondo del lavoro. Le leggi di polizia e lo
sfruttamento cui sono sottoposti i migranti colpiscono perciò i diritti di tutti e vanno combattute. Per questo la piena parità di diritti in tutto il mondo del lavoro senza distinzione di etnia o sesso è la prima condizione di potere di tutto il mondo del lavoro. Cosi come occorre mettere in discussione la politica Europea di feroce controllo delle frontiere, la “Fortezza Europa” nata grazie all'accordo di Schengen e alla sua polizia di frontiera del progetto “Frontex”. Il trattato di Schengen impedisce la libera circolazione delle persone e costringe i migranti a diventare clandestini e a affidarsi alla malavita organizzata e a trafficanti di uomini senza scrupolo alcuno. Quello che la politica, le istituzioni, il Governo non dicono è che i morti delle tante stragi del Mediterraneo sono diretta responsabilità delle politiche dell'Unione Europea oltre che delle  scelte di 30 anni dei governi italiani.
Si tratta di costruire un vero e proprio cambiamento culturale, contro le politiche securitarie e emergenziali che tutti i governi di questi ultimi anni hanno prodotto, alimentando un clima di paura, odio e razzismo che la crisi ha esasperato. Dobbiamo chiedere l'abolizione delle leggi più odiose e discriminatorie che determinano la condizione di costante ricatto dei migranti. Una condizione che è funzionale alle imprese per disporre di lavoratore disponibili a lavorare a qualsiasi condizione salariale, di lavoro e di sicurezza.
È necessario costruire una vertenza generale sui temi che riguardano l'immigrazione e dare risposte sul piano delle condizioni di lavoro. È urgente attivare nelle crisi aziendali e nella stessa contrattazione, fin dalla costruzione delle piattaforme, pratiche di azione sindacale che, nel tutelare tutti, difendano i più deboli e i più esposti e che producano integrazione e uguaglianza.
Per questo chiediamo:

 L'abolizione della Bossi-Fini, della Turco-Napolitano e del cosiddetto pacchetto sicurezza del 2009;

 Il contrasto alle politiche repressive a cominciare dalla immediata chiusura dei CIE e dall'abolizione del reato di clandestinità;

 La garanzia del diritto all'asilo e l'attivazione di politiche di vera accoglienza nei confronti di profughi e rifugiati;

 L'introduzione del permesso di soggiorno anche per la ricerca del lavoro;

 Una riforma complessiva delle leggi sulla cittadinanza, con l'abbassamento degli anni necessari al suo ottenimento e l'introduzione di regole e tempi certi e trasparenti nelle pratiche;

 L'introduzione dello ius soli (diritto di cittadinanza per i figli degli stranieri nati in Italia) e il riconoscimento della cittadinanza ai minori nati all'estero che studino in Italia;

 Il diritto di voto per tutti i residenti di lungo periodo;

 Un impegno forte e costante contro il lavoro sommerso e il Capolarato;

 La Cgil deve aprire una grande vertenza generale sulle condizioni di lavoro dei migranti e organizzarli contro lo sfruttamento. E' importante impegnare tutte le forze del sindacato in lotte come quella dei lavoratori della logistica;

 Una legislazione che garantisca ai migranti il pieno usufrutto e riconoscimento dei contributi previdenziali maturati nei periodi di lavoro ed il loro riscatto in caso di rientro nei paesi d'origine.


13) PER LA PACE E CONTRO LA GUERRA

La Cgil si schiera con tutti i movimenti per la pace. La Cgil chiede la cancellazione delle missioni militari italiane estere e dell'acquisto degli F35, nel quadro di un vasto piano di taglio delle spese militari e di riconversione dell'apparato industriale.
In particolare le palesi violazioni dell'articolo 11, sia con la guerra cosiddetta umanitaria sia con l'intervento in Afghanistan e in Iraq, vanno condannate. La Cgil si batte contro i rischi della guerra e il coinvolgimento dell'Italia in politiche di guerra, la crisi economica, la sfida competitiva tra aree e paesi, accentua i rischi di guerra e in particolare l'imperialismo delle grandi potenze occidentali alimenta tensione nel mondo per la competizione con i paesi emergenti. Bisogna ricostruire la sensibilità politica e culturale contro i rischi della guerra e per questo la Cgil si batte perché l'Italia metta in discussione la sua appartenenza alla Nato e perché questa alleanza venga sciolta. Vanno chiuse le basi militari Usa e Nato presenti in Italia da quella di Vicenza all'istallazione Muos in Sicilia. Le recenti guerre come quella in Libia o la minaccia di intervento in Siria rappresentano esclusivamente un riposizionamento degli USA e dell'Europa nella divisione e approvvigionamento delle risorse energetiche. Basta ricordare che il governo Monti e poi Letta hanno sottoscritto con le nuove autorità libiche accordi di contenuto analogo a quello di Berlusconi nel 2008 con lo scopo di contrastare l'immigrazione clandestina.
La strategia della guerra preventiva portata avanti dagli USA e che minaccia nuovi paesi come la Siria e l'Iran ma anche il Libano, alimenta i fondamentalismi e rischia di infiammare tutto il Medio Oriente e conseguentemente tutto il mondo.
La Cgil sostiene la lotta del popolo palestinese per il diritto di vivere in uno stato indipendente accanto allo stato di Israele e a rimuovere il muro di separazione e annessione di ulteriori territori, azione condannata anche dall'assemblea delle Nazioni Unite.
Le primavere arabe che avevano dato speranza a milioni di cittadini nord africani di poter democraticamente cambiare i regimi autoritari e corrotti sostenuti da decenni dall'occidente hanno avuto un esito contraddittorio. L'impegno dovrà essere quello di contrastare con forza i tentativi di trasformare una lotta per i diritti umani, sociali, nazionali, in uno scontro di civiltà funzionale soltanto alle politiche di potenza, potenza che peraltro fornisce quantità gigantesche di armi a tutte le parti in causa e a tutte le fazioni esistenti.
L'impegno per la pace significa anche organizzare la mobilitazione per fermare le tante guerre dimenticate in Asia, Africa e America Latina, che negano diritti e libertà a tanti popoli e distruggono milioni di vite. Per affermare diversi rapporti tra Nord e Sud nel mondo sulla base di criteri di giustizia sociale e redistribuzione
globale delle ricchezze.
Diritto Internazionale e diritti umani vengono permanentemente violati come nel caso del popolo curdo.
La Cgil si impegna a sostenere in Europa una nuova politica internazionale per la pace, per i diritti umani, per la certezza del diritto internazionale e il rispetto delle autonome scelte di ciascun popolo.


14) UN SINDACATO DEMOCRATICO E DI LOTTA


Ai lavoratori oggi serve una Cgil ben diversa da quella di questi anni. Prima di tutto ci vuole un sindacato capace di organizzare la lotta con efficacia per ottenere risultati concreti. Nel privato bisogna organizzare le lotte che colpiscano le controparti e diano visibilità ai lavoratori. Nel pubblico bisogna mettere in discussione la legislazione anti-sciopero e disobbedire alla legge 146/90. Nel sociale bisogna organizzare i bisogni popolari nel territorio.
Alle lavoratrici servirebbe una Cgil che sappia rispondere ai loro bisogni. È tanto che manca nella Cgil un luogo di discussione e di rappresentanza autonoma delle donne. I luoghi delle donne non sono scelti dalle donne e hanno spesso risposto a logiche organizzative e politiche tutte interne all'organizzazione. Oggi la Cgil proclama il suo impegno contro la violenza e contro il femminicidio, impegno che condividiamo perché il femminicidio è contro i corpi e la libertà delle donne. Proprio per questo pensiamo che molto c'è da fare e non basta condannare. Bisogna rivendicare una pratica autonoma delle donne, a cominciare dalla ricostruzione di luoghi di partecipazione diretta. La giornata di lotta e di sciopero delle donne del 25 novembre è stata un'occasione mancata da parte della Cgil di contribuire a costruire un protagonismo autonomo delle lavoratrici. In ogni caso quell'esperienza indica una strada su cui continuare a insistere.
Per tutte queste ragioni, bisogna mettere discussione le burocrazie e lo spirito di casta degli apparati. Le lotte devono essere efficaci radicali e visibili, per questo ci vogliono democrazia e partecipazione. Oltre alla rappresentanza democratica garantita dalla legge, i lavoratori hanno bisogno di organizzarsi in forme flessibili e aperte, in comitati di lotta e consigli di delegati per questo la Cgil decide di avviare un processo di organizzazione nuovo tra tutte le lavoratrici e lavoratori, nel territorio tra i pensionati e i disoccupati.
Il sindacato deve vivere soltanto con i contributi volontari dei suoi iscritti e non con finanziamenti diretti o indiretti che vengano da enti bilaterali, dai fondi integrativi, dalle controparti e dallo Stato. Perché altrimenti la burocrazia sindacale entra in conflitto di interessi con il proprio ruolo di rappresentanza.
L’adesione al sindacato deve essere libera e obbligatoriamente rinnovata ogni 4 anni. I pensionati devono poter scegliere se iscriversi alla vecchia categoria di appartenenza o allo SPI. I pensionati in ogni caso non votano su materie di contrattazione di lavoro.
Si deve rendere pubblico e trasparente il bilancio di ogni struttura sindacale, il suo stato patrimoniale e tutte le retribuzioni dei funzionari fino ai livelli più alti, retribuzioni che devono essere legate a quelle dei lavoratori dipendenti e seguirne l'andamento.
In concreto:

 Una parte delle quote tessera deve essere destinata a finanziare casse di resistenza per le lotte;

 Nessuna funzione può essere soggetta a nomine, per le rappresentanze aziendali e i comitati degli iscritti tutti gli interessati hanno diritto a candidarsi e a essere votati con voto segreto. Tutti i dirigenti devono essere eletti con voto segreto. Serve una politica dei quadri che valorizzi le delegati e i delegati protagonisti di lotte e vertenze. La scelta dei funzionari sindacali non può essere unilaterale e basata sul principio di fedeltà, l'attività del funzionario deve essere valutata sulla base dei risultati e del consenso dei lavoratori. Va abolita la funzione di centro regolatore, che impone la nomina dall'alto dei dirigenti;

 In tutta l'organizzazione va rispettato il pluralismo e il diritto al dissenso;

 I componenti delle commissioni di garanzia non possono essere funzionari dell'organizzazione, i controllati non possono essere i controllori;

 I segretari generali delle strutture a qualsiasi livello e i componenti di segreterie nazionali nell'assumere l'incarico sottoscrivono l'impegno formale a non assumere incarichi dirigenziali in aziende controparti per almeno 5 anni dopo l'incarico, e a non candidarsi ad elezioni politiche o amministrative per almeno un anno. Chi fa questa scelta, in ogni caso, non può più rientrare come funzionario nella Cgil;

 La Cgil rifiuta le RSA (rappresentanze sindacali aziendali nominate dai sindacati) e si batte ovunque per rappresentanze universali di tutti i lavoratori elette su base proporzionale dove tutti sono elettori e eleggibili. Ove non sia possibile fare queste elezioni, le RSA della Cgil saranno elette comunque da tutti;

 Obbligo di referendum sugli accordi, i dirigenti che non sottopongono al voto gli accordi vanno rimossi;

 Drastico ridimensionamento delle strutture regionali confederali e di categoria per dedicare quelle risorse e quegli apparati a operare nelle categorie sul territorio;

 In nessun organismo dirigente la maggioranza dei componenti potrà essere di funzionari sindacali;

 La Cgil costruirà una sistema web che metta in comunicazione diretta tra loro tutti gli iscritti in modo che ognuno possa far conoscere diffusamente le proprie valutazioni e proposte e possano essere raccolte su di esse le adesioni per trasferirle all'organizzazione;

 Tutti gli enti bilaterali devono essere condotti a assistenza dei lavoratori sotto controllo pubblico, il sindacato e le imprese devono uscire dalla gestione, nessun finanziamento né diretto né indiretto alle organizzazioni;

 Vanno abolite tutte le mutualizzazioni dei diritti sindacali.

La Cgil considera prioritaria e si batte per una legge sulla rappresentanza sindacale che garantisca il diritto delle lavoratrici e dei lavoratori a scegliere da chi farsi rappresentare e a votare su piattaforme e accordi. In ogni caso la Cgil è vincolata nel suo operare a questi principi e si batte contro ogni discriminazione verso i lavoratori e verso altri sindacati. La Cgil respinge e contrasta ovunque il principio incostituzionale per cui i diritti sindacali spettano solo a chi firma gli accordi.



Roma, Martedì 19 novembre 2013

Giorgio Cremaschi
Fabrizio Burattini
Francesco De Simone
Eva Mamini
Franca Peroni
Maurizio Scarpa


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