domenica 12 gennaio 2014

ALCUNI DATI UTILI SULLA CGIL



di Delia Fratucelli



Gli iscritti alla CGIL nel 2012 erano circa 5 milioni e 700 mila. Un po’ più della metà dei quali sono pensionati.
Tra i restanti 2 milioni e 800 mila, solo la metà scarsa ha fatto la tessera grazie all'attività sindacale nei luoghi di lavoro, l’altra metà si è iscritta al sindacato grazie ai servizi (CAF, INCA patronati… ma soprattutto in questi anni grazie al servizio vertenze.).
Solo questi dati, fanno capire lo spostamento dell’asse dell’intervento politico e della rappresentanza del lavoro, in CGIL, avvenuto sia ben chiaro nell’arco di decenni, ma che ora si rappresenta come un dato “storicizzato” e quasi antropologico; si consideri che la maggioranza del quadro dirigente del sindacato, ha costruito la sua ragione d’essere, presente e futura, con queste dinamiche associative.
I dati non sono solo numerici ma anche e soprattutto economici, perché è decisivo, per un’associazione, da quale fonte vengono i proventi finanziari che gli permettono di operare e al personale di essere regolarmente pagato.
Iniziamo a dire che la situazione in CGIL non è rosea, sarà l’argomento tabù in questo congresso, ma tutto l’apparato è a conoscenza che dal 2014 sarà inevitabile un taglio ai bilanci e alle strutture. Quanti tagli e dove? Ovviamente questo dipende in buona parte dalle scelte politiche che farà l’organizzazione, ed è per questo che di questo non si scrive quasi nulla nel documento camussiano.
Intanto i bilanci delle categorie, si spostano sempre di più dalle tessere degli iscritti, ad altre entrate, come ha scritto Maurizio Scarpa sul suo Blog: 

“Il finanziamento al sindacato è sempre meno proveniente dai tesserati e sempre più dagli enti bilaterali e dalle quote di servizio. Oggi categorie come la Filcams può vivere senza alcun iscritto/iscritta, ma non senza le risorse economiche provenienti dall’essere firmatario dei contratti e quindi messi alla mercè delle volontà padronali. Un sindacato che non è più autonomo economicamente, lo è tanto meno politicamente”.
Questa illustrata da Scarpa non è solo un’analisi condivisibile, ma purtroppo la realtà effettiva delle varie categorie, anche se nazionalmente il valore economico degli enti bilaterali è di soli 180000 euro, è però uno dei pochi dati economici in crescita. Nel bilancio preventivo del 2014 della Camera del lavoro di Torino, alla voce ricavi, vengono previsti come contributi da strutture sindacali 45.000 euro, mentre i contributi da istituzioni ed enti locali dovrebbero ammontare a 1.791.000 euro (anche quelli in discesa rispetto al 2013).
Una riorganizzazione organizzativa che non si farà solo su un’analisi economica, perché una gestione deve tenere conto anche del “valore” delle ore dei permessi sindacali. Tutte le associazioni padronali private, ma anche le gestioni pubbliche, chiedono di rivedere le ore sindacali assegnate nei decenni passati, quando c’era un diverso peso dei dipendenti, ma soprattutto, frutto di un diverso rapporto di forza tra le classi. Meno ore sindacali disponibili, vorrà dire, per la burocrazia sindacale, la necessità di stringere il controllo su chi ne potrà usufruire, il che implicherà una gestione più gerarchica e centralizzata.
Al 2013 l’apparato in CGIL era composto di circa 12.000, dipendenti a vario titolo, cui però andrebbero, aggiunti un numero non quantificabile di “volontari col rimborso” (parecchie migliaia probabilmente). Insomma la CGIL è un datore di lavoro di grandi dimensioni, i cui dipendenti o beneficiari, sono in assoluto i lavoratori più sindacalizzati in giro per l’Italia! Non si faranno ridurre il perimetro, senza proporre qualsiasi strategia li possa garantire. Se tra i sostenitori del documento congressuale “IL SINDACATO E’ UN’ALTRA COSA” c’è solo lo 0,2% dell’apparato, qualcosa significherà; in generale nessun dato è casuale, ma questo è proprio determinato dalla strategia di “ceto compatto”, che caratterizza i gruppi burocratici.
Se qualcuno pensa che questo sia l’unica norma organizzativa possibile, si deve ricredere. La stessa CGIL, ha avuto nel suo passato, un apparato molto più ristretto, dove le sedi sindacali, piccole ma presenti su tutto il territorio (soprattutto quello urbano), erano più simili a circoli di discussione, elaborazione, incontro, e per nulla rassomiglianti a quei poliambulatori che sono adesso le nostre sedi. Un apparato così esteso, non garantisce neppure efficienza organizzativa, l’erogazione di servizi è svolta sovente in ritardo e delude le attese dei “clienti”. I sindacati di base italiani hanno un numero di adesioni limitato, ma ancor meno apparato. All’estero altre realtà sindacali, hanno percorsi diversi, non privi di difetti e problemi, ma sicuramente interessanti, faccio solo l’esempio dell’Uruguay, dove le iscrizioni al sindacato sono in rapida ascesa (anche per il varo di una legislazione, che favorisce la contrattazione) e dove su 350.000 lavoratori attivi iscritti, ci sono solo una trentina di sindacalisti a tempo pieno, e questo è possibile, grazie al fatto che la contrattazione a tutti i livelli la fanno soprattutto i lavoratori stessi.
La verità è che questo modo organizzativo è obsoleto e inadeguato, anche nel pieno rispetto delle logiche di sindacato compatibile e consociativo, la CGIL sarà comunque costretta a cambiare: da che parte si muoverà la trasformazione, dipenderà anche da noi.

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