mercoledì 12 marzo 2014

SULL'ACCORDO DEL 10 GENNAIO - di R. Riggio



Sull’accordo del 10 gennaio 2014 
tra Confindustria e CGIL, CISL e UIL

Lettera aperta alla Segreteria regionale della FPCGIL Piemonte



Ho letto con attenzione l’articolo di Luca Quagliotti, segretario regionale della FPCGIL Piemonte, pubblicato sulla rivista NEL “Notiziario Enti Locali” di commento della vicenda sul testo unico della rappresentanza. Un articolo che sebbene si intitoli “Sindacato. Cos’è l’accordo sulla rappresentanza?”, poco tratta in realtà dell’accordo, con numerose affermazioni che esulano da qualsiasi valutazione di merito dell’accordo. Non avrei risposto, se tali posizioni non fossero arrivate da un compagno della segreteria regionale che, pur nella diversità di vedute, continuo a stimare.

Ho scelto quindi di rispondere con una lettera aperta, con i canali che ho a disposizione, per una discussione che ritengo finalmente aperta anche nella nostra categoria e che non si esaurirà con il “voto” previsto dalla CGIL. Al contrario dell’articolo, resterò nel merito del testo unico sulla rappresentanza, in quanto ritengo importante far luce su un accordo, quello firmato il 10 gennaio, che va fermato, con ogni mezzo necessario.
Il lungo e dettagliato accordo del 10 gennaio 2014 prevede la misurazione della rappresentatività, la regolamentazione delle rappresentanze aziendali, la titolarità e l’efficacia per i contratti nazionali e aziendali, le clausole di raffreddamento e di non adempimento.
Titoli asettici, si dirà, ma che si chiariscono nel dettaglio del testo, definendo una concezione di democrazia sindacale lontana, troppo lontana, dal mio sentire.
Sulla misurazione della rappresentatività si mutua il sistema previsto dal pubblico impiego, ovvero la media dei risultati delle RSU (dove esistenti) e delle tessere sindacali certificate…..ma…per poter partecipare alla misura della rappresentatività si deve accettare tutto l’accordo del 10 gennaio e quelli precedenti (28 giugno 2011 e 31 maggio 2013). Cosa vuol dire questo? Che in caso non lo si accetti, NON si viene misurati, NON si ha diritto a partecipare alle elezioni della RSU, NON si ha diritto alla certificazione da parte del datore di lavoro delle tessere sindacali e della raccolta dei contributi sindacali. Le aziende comunicano i dati SOLO delle Organizzazioni sindacali che hanno firmato l’accordo (ovvero di CGIL, CISL e UIL) e di quelle che si impegnano ad aderire a tutte le sue parti.
Dove non sono previste le RSU, ma esistono le Rappresentanze sindacali aziendali, le RSU possono essere istituite solo se sono d’accordo CGIL CISL e UIL; solo le confederazioni che firmano l’accordo possono istituire le RSU o quelle che hanno firmato l’ultimo CCNL se aderiscono all’accordo.
Possono partecipare alle elezioni delle RSU solo le organizzazioni che sottoscrivono l’accordo (CGIL, CISL e UIL) e quelle che vi aderiscono (che comunque devono raccogliere il 5% delle firme dei lavoratori, mentre CGIL, CISL e UIL non devono raccogliere le firme…). L’attribuzione dei seggi avviene finalmente con voto proporzionale, sarà possibile esprimere una sola preferenza.
Sono ammesse alla contrattazione nazionale (parte terza dell’accordo) solo le organizzazioni che hanno sottoscritto tutti gli accordi (10 gennaio 2014, 28 giugno 2011 e 31 maggio 2013) e che hanno più del 5% di rappresentanza. I diritti sindacali dello Statuto dei Lavoratori dall’art.19 e successivi spettano alle associazioni che hanno più del 5% e che hanno partecipato all’ultima contrattazione per il rinnovo del CCNL.
Gli accordi firmati a maggioranza (50%+1 della rappresentanza sindacale e con voto certificato a maggioranza semplice dei Lavoratori, ovvero senza bisogno del quorum) sono validi ed esigibili per tutti e le parti firmatarie l’accordo del 10 gennaio 2014 si impegnano a non mettere in atto “azioni a contrasto” degli accordi firmati a maggioranza. Ovvero chi non è d’accordo, deve accettare e non può protestare, pena le sanzioni.
Gli accordi aziendali sono validi se approvati dalla maggioranza delle rappresentanze aziendali e vincolano anche chi non accetta gli accordi.
Gli accordi aziendali possono contenere deroghe ai contratti nazionali sulla prestazione lavorativa, gli orari e l’organizzazione del lavoro. Altre deroghe saranno previste dal CCNL o dalla Legge (come previsto, del resto dall’allora “contestato” art. 8 di Sacconi).
Nella parte quarta poi il capolavoro! Le parti convengono nel definire “disposizioni volte a prevenire e a sanzionare eventuali azioni di contrasto di ogni natura, finalizzate a compromettere il regolare svolgimento dei processi negoziali come disciplinati dagli accordi interconfederali vigenti nonché l’esigibilità e l’efficacia dei contratti collettivi stipulati nel rispetto dei principi e delle procedure contenute nelle intese citate”. Pertanto i CCNL “dovranno” definire “clausole e/o procedure di raffreddamento” per garantire “l’esigibilità” e “prevenire il conflitto”. I CCNL “dovranno” definire “le conseguenze sanzionatorie”. Per essere più chiari “dovranno riguardare i comportamenti di tutte le parti contraenti e prevedere sanzioni, anche con effetti pecuniari, ovvero che comportino la temporanea sospensione di diritti sindacali di fonte contrattuale e di ogni altra agibilità derivante dalla presente intesa”. Anche i “I contratti collettivi aziendali” che “definiscono clausole di tregua sindacale e sanzionatorie, finalizzate a garantire l’esigibilità degli impegni assunti con la contrattazione collettiva, hanno effetto vincolante, oltre che per il datore di lavoro, per tutte le rappresentanze sindacali dei lavoratori nonché per le associazioni sindacali espressioni delle confederazioni sindacali firmatarie del presente accordo, o per le organizzazioni che ad esso abbiano formalmente aderito, e non per i singoli lavoratori”. I firmatari dicono qui di non aver toccato il diritto di sciopero individuale (tutelato dalla costituzione), forse perché pensano che i Lavoratori sciopereranno in assenza di copertura sindacale?!?!…che ipocrisia!
Nel transitorio viene costituito un “collegio di conciliazione e arbitrato” a livello Confederale che valuterà i comportamenti “non conformi agli accordi”: la composizione è tale da mettere in minoranza chi contesta gli accordi previsti dagli altri. Si tratta di una vera e propria norma “anti-FIOM” e sulla quale, non a caso, il segretario FIOM Landini ha posto un accento particolare.
Non ci vuole poi un giurista per comprendere come l’impianto dell’accordo del 10 gennaio 2014, che lega la rappresentanza sindacale all’accettazione dell’accordo stesso, sia in contrasto almeno con il ragionamento fatto dalla Corte costituzionale (http://www.cgil.it/Archivio/Giuridico%5CSentenza%20Corte%20Costituzionale%20n.%20231%E2%81%842013.pdf) nel momento in cui ha abrogato parte dell’art. 19 dello Statuto dei Lavoratori permettendo alla FIOM di rientrare in FIAT.
Non siamo quindi di fronte all’estensione del modello in vigore nel Pubblico Impiego: nel Pubblico Impiego, la misura della rappresentanza è indipendente dall’accettazione di accordi o CCNL, se si accetta di farsi “misurare” non si devono obbligatoriamente accettare deroghe e sanzioni.
Si tratta invece, né più né meno, del “modello Pomigliano”, già esteso a tutta la FIAT, di relazioni sindacali. Un modello che, tramite la FIOM, la CGIL ha sempre (a parole) rifiutato. Un sistema che “concede” la misura della rappresentanza (media tra voti e deleghe), l’agibilità sindacale, la possibilità di contrattare e la partecipazione alle stesse RSU non a tutte le Organizzazioni sindacali sulla base del consenso tra i Lavoratori, ma solo a quelle Organizzazioni sindacali che accettano tutto l’accordo, deroghe e sanzioni comprese. Chi non aderirà all’accordo, contrattualmente non esisterà. Chi aderirà, potrà esistere sindacalmente, ma dovrà accettare deroghe e le sanzioni definite dalla maggioranza.
Un ultimo commento poi sulla “consultazione” della CGIL. Un accordo come questo, avrebbe necessitato un confronto con i Lavoratori molto prima della sua sottoscrizione. Avrebbe necessitato una discussione di merito e non un “tifo” acritico per la Segretaria nazionale della CGIL. Appunto, avrebbe. Così non sarà. Una consultazione in cui si mette al voto solo per gli iscritti di CGIL (CISL e UIL parlano di voto, ma poi non lo praticano neanche per ratificare le loro scelte) non tanto l’accordo ma il parere positivo già espresso dal gruppo dirigente della CGIL, che non sospende la firma e la validità dell’accordo, che permette solo la lettura “artificiosa” del contenuto dell’accordo, e che non prevede il confronto tra posizioni differenti, non è e non sarà mai un voto democratico. La democrazia è un’altra cosa, anche a livello sindacale.

Roberto Riggio
Coordinatore aziendale della FPCGIL di ARPA Piemonte
 

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