Sull’accordo
del 10 gennaio 2014
tra Confindustria e CGIL, CISL e UIL
Lettera aperta alla
Segreteria regionale della FPCGIL Piemonte
Ho
letto con attenzione l’articolo
di Luca Quagliotti,
segretario regionale della FPCGIL Piemonte, pubblicato sulla rivista
NEL “Notiziario Enti Locali” di commento della vicenda sul testo
unico della rappresentanza. Un articolo che sebbene si intitoli
“Sindacato. Cos’è l’accordo sulla rappresentanza?”, poco
tratta in realtà dell’accordo, con numerose affermazioni che
esulano da qualsiasi valutazione di merito dell’accordo. Non avrei
risposto, se tali posizioni non fossero arrivate da un compagno della
segreteria regionale che, pur nella diversità di vedute, continuo a
stimare.
Ho
scelto quindi di rispondere con una lettera aperta, con i canali che
ho a disposizione, per una
discussione che ritengo finalmente aperta
anche nella nostra categoria e che non si esaurirà con il “voto”
previsto dalla CGIL. Al contrario dell’articolo, resterò nel
merito del testo unico sulla rappresentanza, in quanto ritengo
importante far luce su un accordo,
quello firmato il 10 gennaio, che va fermato, con ogni mezzo
necessario.
Il
lungo e dettagliato accordo del 10 gennaio 2014 prevede la
misurazione della rappresentatività, la regolamentazione delle
rappresentanze aziendali, la titolarità e l’efficacia per i
contratti nazionali e aziendali, le clausole di raffreddamento e di
non adempimento.
Titoli
asettici, si dirà, ma che si chiariscono nel dettaglio del testo,
definendo una concezione
di democrazia sindacale lontana, troppo lontana, dal mio sentire.
Sulla
misurazione della rappresentatività si mutua il sistema previsto dal
pubblico impiego, ovvero la media dei risultati delle RSU (dove
esistenti) e delle tessere sindacali certificate…..ma…per poter
partecipare alla misura della rappresentatività si deve accettare
tutto l’accordo del 10 gennaio e quelli precedenti (28 giugno 2011
e 31 maggio 2013). Cosa vuol dire questo? Che in caso non lo si
accetti, NON si viene misurati, NON si ha diritto a partecipare alle
elezioni della RSU, NON si ha diritto alla certificazione da parte
del datore di lavoro delle tessere sindacali e della raccolta dei
contributi sindacali. Le aziende comunicano i dati SOLO delle
Organizzazioni sindacali che hanno firmato l’accordo (ovvero di
CGIL, CISL e UIL) e di quelle che si impegnano ad aderire a tutte le
sue parti.
Dove
non sono previste le RSU, ma esistono le Rappresentanze sindacali
aziendali, le RSU possono essere istituite solo se sono d’accordo
CGIL CISL e UIL; solo le confederazioni che firmano l’accordo
possono istituire le RSU o quelle che hanno firmato l’ultimo CCNL
se aderiscono all’accordo.
Possono
partecipare alle elezioni delle RSU solo le organizzazioni che
sottoscrivono l’accordo (CGIL, CISL e UIL) e quelle che vi
aderiscono (che comunque devono raccogliere il 5% delle firme dei
lavoratori, mentre CGIL, CISL e UIL non devono raccogliere le
firme…). L’attribuzione dei seggi avviene finalmente con voto
proporzionale, sarà possibile esprimere una sola preferenza.
Sono
ammesse alla contrattazione nazionale (parte terza dell’accordo)
solo le organizzazioni che hanno sottoscritto tutti gli accordi
(10 gennaio 2014, 28 giugno 2011 e 31 maggio 2013) e
che hanno più del 5% di rappresentanza.
I diritti sindacali dello Statuto dei Lavoratori dall’art.19 e
successivi spettano alle associazioni che hanno più del 5% e che
hanno partecipato all’ultima contrattazione per il rinnovo del
CCNL.
Gli
accordi firmati a maggioranza (50%+1 della rappresentanza sindacale e
con voto certificato a maggioranza semplice dei Lavoratori, ovvero
senza bisogno del quorum) sono validi ed esigibili per tutti e le
parti firmatarie l’accordo del 10 gennaio 2014 si
impegnano a non mettere in atto “azioni a contrasto” degli
accordi firmati a maggioranza.
Ovvero chi
non è d’accordo, deve accettare e non può protestare, pena le
sanzioni.
Gli
accordi aziendali sono validi se approvati dalla maggioranza delle
rappresentanze aziendali e vincolano anche chi non accetta gli
accordi.
Gli
accordi aziendali possono
contenere deroghe ai contratti nazionali sulla prestazione
lavorativa, gli orari e l’organizzazione del lavoro.
Altre deroghe saranno
previste dal CCNL o dalla Legge
(come previsto, del resto dall’allora “contestato” art. 8 di
Sacconi).
Nella
parte quarta poi il capolavoro!
Le parti convengono nel definire “disposizioni volte a prevenire
e a sanzionare
eventuali
azioni di contrasto
di ogni natura, finalizzate a compromettere il regolare svolgimento
dei
processi negoziali
come disciplinati dagli accordi interconfederali vigenti nonché
l’esigibilità
e l’efficacia dei contratti collettivi
stipulati nel rispetto dei principi e delle procedure contenute nelle
intese citate”. Pertanto i CCNL “dovranno” definire “clausole
e/o procedure
di raffreddamento”
per garantire “l’esigibilità”
e “prevenire
il conflitto”.
I CCNL
“dovranno” definire “le conseguenze sanzionatorie”.
Per essere più chiari “dovranno riguardare i comportamenti di
tutte le parti contraenti e prevedere
sanzioni, anche con effetti pecuniari, ovvero che comportino la
temporanea sospensione di diritti sindacali
di fonte contrattuale e di ogni altra agibilità derivante dalla
presente intesa”. Anche
i “I contratti collettivi aziendali” che “definiscono clausole
di tregua sindacale e sanzionatorie,
finalizzate a garantire l’esigibilità degli impegni assunti con la
contrattazione collettiva, hanno effetto vincolante, oltre che per il
datore di lavoro, per
tutte le rappresentanze sindacali dei lavoratori nonché per le
associazioni sindacali
espressioni delle confederazioni sindacali firmatarie del presente
accordo, o per le organizzazioni che ad esso abbiano formalmente
aderito, e non
per i singoli lavoratori”.
I firmatari dicono qui di non aver toccato il diritto di sciopero
individuale (tutelato dalla costituzione), forse
perché pensano che i Lavoratori sciopereranno in assenza di
copertura sindacale?!?!…che ipocrisia!
Nel
transitorio viene costituito un “collegio
di conciliazione e arbitrato”
a livello Confederale che valuterà
i comportamenti “non conformi agli accordi”:
la composizione è tale da mettere in minoranza chi contesta gli
accordi previsti dagli altri. Si tratta di una vera e propria norma
“anti-FIOM” e sulla quale, non a caso, il segretario FIOM Landini
ha posto un accento particolare.
Non
ci vuole poi un giurista per comprendere come l’impianto
dell’accordo del 10 gennaio 2014, che lega la rappresentanza
sindacale all’accettazione dell’accordo
stesso, sia in contrasto almeno con il ragionamento fatto dalla Corte
costituzionale
(http://www.cgil.it/Archivio/Giuridico%5CSentenza%20Corte%20Costituzionale%20n.%20231%E2%81%842013.pdf)
nel momento in cui ha abrogato parte dell’art. 19 dello Statuto dei
Lavoratori permettendo alla FIOM di rientrare in FIAT.
Non
siamo quindi di fronte all’estensione del modello in vigore nel
Pubblico Impiego:
nel Pubblico Impiego, la misura della rappresentanza è indipendente
dall’accettazione di accordi o CCNL, se si accetta di farsi
“misurare” non si devono obbligatoriamente accettare deroghe e
sanzioni.
Si
tratta invece, né più né meno, del “modello Pomigliano”, già
esteso a tutta la FIAT, di relazioni sindacali.
Un modello che, tramite la FIOM, la CGIL ha sempre (a parole)
rifiutato. Un sistema che “concede” la misura della
rappresentanza (media tra voti e deleghe), l’agibilità sindacale,
la possibilità di contrattare e la partecipazione alle stesse RSU
non a
tutte le Organizzazioni sindacali sulla base del consenso tra i
Lavoratori, ma solo a quelle Organizzazioni sindacali che accettano
tutto l’accordo, deroghe e sanzioni comprese.
Chi
non aderirà all’accordo, contrattualmente non esisterà.
Chi
aderirà, potrà esistere sindacalmente, ma dovrà accettare deroghe
e le sanzioni definite dalla maggioranza.
Un
ultimo commento poi sulla “consultazione” della CGIL. Un accordo
come questo, avrebbe
necessitato un confronto con i Lavoratori molto prima della sua
sottoscrizione.
Avrebbe
necessitato una discussione di merito e non un “tifo” acritico
per la Segretaria nazionale della CGIL.
Appunto, avrebbe. Così
non sarà. Una
consultazione in cui si mette al voto solo per gli iscritti di CGIL
(CISL e UIL parlano di voto, ma poi non lo praticano neanche per
ratificare le loro scelte) non tanto l’accordo ma il parere
positivo già espresso dal gruppo dirigente della CGIL, che non
sospende la firma e la validità dell’accordo, che permette solo la
lettura “artificiosa” del contenuto dell’accordo, e che non
prevede il confronto tra posizioni differenti, non
è e non sarà mai un voto democratico. La democrazia è un’altra
cosa, anche a livello sindacale.
Roberto
Riggio
Coordinatore
aziendale della FPCGIL di ARPA Piemonte
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