domenica 15 settembre 2013

LASCIAMO LA CGIL




Pubblichiamo una lettera di un gruppo di compagni che hanno deciso di uscire dalla Cgil. Capiamo il loro sconforto ma avremmo preferito che non ci lasciassero soli  nella dura battaglia congressuale che ci attende. Cogliamo comunque l'occasione per invitarli a parlarne ancora con noi - La redazione

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Dopo tanti anni di impegno abbiamo deciso di lasciare la Cgil. Un grande sindacato a cui alcuni tra noi sono iscritti dalla fine degli anni ’70. Anche se spesso su posizioni critiche, abbiamo condiviso iniziative e battaglie, costruito rapporti e relazioni anche con le altre categorie (in particolar modo con la Fiom e con la sinistra sindacale) sempre nell’ottica di rafforzare un movimento di lotta generale. In molti ci hanno chiesto le ragioni di questa scelta. Cercheremo brevemente di spiegarci. Innanzitutto, però, è necessaria una premessa per evitare inutili malintesi. La decisione assunta non ha nulla a che vedere con le piccole vicende che negli ultimi anni hanno coinvolto il nostro rapporto con la FLC di Torino. Le nostre riflessioni riguardano aspetti generali del percorso e del declino della Cgil, su cui a lungo abbiamo discusso. 
Quello che oggi ci sembra evidente è che un sindacato che non è in grado di cambiare, di saper ascoltare e capire le persone e il mondo circostante, è finito. Finito come soggetto di cambiamento. E che la Cgil abbia purtroppo perso da tempo questa capacità ci pare altrettanto evidente. Non c’è nessun fatto particolare a cui addebitare questa nostra scelta, anche se è da tempo che molti fatti non ci convincono. Semplicemente ci sembra definitivamente finita un’epoca. L’epoca in cui il sindacato era in grado di difendere – nel quadro economico dato – gli interessi immediati dei lavoratori. Era in grado, pur con tutti i limiti, di rappresentare i lavoratori e questi, in un qualche modo, condizionavano il sindacato. 
Per chiarirci meglio. Non è che non serva più il sindacato. Tutt’altro! Casomai un sindacato non rinchiuso nel singolo posto di lavoro e più legato al tessuto sociale. Né che debba essere “puro e duro”. Anzi è necessaria una maggiore contaminazione tra esigenze e culture diverse (tra giovani e meno giovani, lavoratori delle grandi imprese e delle piccole, del Pubblico, con contratti a tempo indeterminato e precari, lavoratori a progetto, a partita iva, cooperative, migranti, studenti…). Lo sappiamo, non esistono alternative immediate. Ma oggi questo sindacato è come se vivesse in un’altra realtà. Non quella che vivono le persone in carne ed ossa, ma quella della “politica”, dei media, degli accordi più o meno sottobanco (come quelli che abbiamo visto durante il governo Monti e oggi con quello Letta-Alfano). Nel migliore dei casi questo sindacato è come se continuasse a ripetere gesti, modalità, parole in un agire routinario senza mai il coraggio della radicalità dei contenuti e della rottura con le vecchie pratiche. Nel peggiore, invece, vede con fastidio tutto ciò che intralcia la “necessaria azione di governo” e/o i suoi interessi particolari, la salvaguardia di un apparato burocratico. Nel mezzo, la trasformazione reale in sindacato dei servizi, senza alcuna capacità di contrapporre una politica e un agire alternativo al peggioramento delle condizioni materiali e di vita, alla polarizzazione della ricchezza che sta gettando nella miseria milioni di persone, senza diritti e senza futuro. Un sindacato che sta trasferendo le larghe intese dal campo politico a quello sindacale, con tutte le conseguenze che è facile immaginare. Rinchiuso in una ristretta logica nazionale. Per non parlare poi del rapporto con le nuove generazioni. Sia nel mondo del lavoro strutturato che nel grande arcipelago del precariato e degli studenti. Due mondi incomunicanti! E quando parliamo di linguaggio, intendiamo prima di tutto contenuti, proposte, modalità organizzative e relazionali. Sogni e speranze. Ecco, lasciamo la Cgil ma continueremo a fare sindacato impegnandoci sul posto di lavoro senza settarismi e senza pregiudizi (di sicuro non prenderemo la pessima attitudine di molti ex: non vediamo nei “compagni di viaggio” di prima i nostri nuovi “nemici” e, come sempre, non risponderemo alle inutili polemiche e come abbiamo sempre fatto,). Al contempo cercheremo di rafforzare quelle relazioni con delegati e lavoratori di altre realtà, con gli studenti, i ricercatori, con tutte quelle forze che nel territorio si impegnano e si battono. Non sarà facile, lo sappiamo. Peggio ci sembra però far finta che nulla stia succedendo e continuare in una “normalità” che deprime le forze, collettive e personali, che allontana dall'impegno. Che fa appassire le potenzialità e che fa perdere la passione e il coraggio. 

Algostino Alessandra, Cappelli Massimo, Carlevaris Cinzia, Demichelis Stefano, Landorno Silvia, Marangoni Elena, Nazzaro Antonio, Ferruccio Pizzolato, Siori Maria Stella, Vannicelli Stefano, Villa Corrado.

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